domenica 24 aprile 2011

Ma questa foto l'hai ritoccata!

foto A - Costa Viola (Palmi - RC) - ©Giancarlo Parisi
AGGIORNAMENTO: a tutto quanto detto nel presente post voglio aggiungere la discussione nata successivamente su Fotocommunity.it a questo indirizzo.



Oggi, per l'ennesima volta, mi sono dovuto confrontare con questo argomento, e come ogni volta mi indispone in una certa misura. Molto dipende anche dall'interlocutore, ma in linea di massima mi dà parecchio fastidio. Oggi, per esempio, è capitato dal fotografo, quando sono andato a stampare alcune fotografie (tra cui quella più sotto), il quale vedendole ha affermato, con tono peraltro che sapeva di retorica, "queste le hai ritoccate eh!". Ora, senza addentrarmi nei meandri di un complesso discorso sul ruolo della postproduzione fotografica, non posso fare a meno di interrogarmi sui motivi che portano sempre più persone oggi a esordire in questo modo al cospetto di determinate fotografie.
Accade infatti che di fronte ad un certo tipo di fotografie, l'utente profano sia tendenzialmente portato a presupporre quella serie di interventi sulla fotografia che egli identifica grossolanamente con il termine "fotoritocco". In genere si tratta di fotografie che si caratterizzano per una esposizione particolarmente bilanciata, altamente leggibili sia nelle ombre che nelle alteluci, oppure di fotografie dai colori particolarmente coinvolgenti, difficili da trovare in natura "as is".

Si tratta insomma di immagini che raffigurano soggetti noti in un modo diverso da come quegli oggetti sono apprezzabili a occhio nudo, e che per ciò stesso rendono la fotografia artefatta, non reale! Questo fenomeno è ascrivibile a diverse cause, ma quella che oggi primeggia riguarda l'avvento del digitale. E' noto infatti (o almeno dovrebbe esserlo) che l'intervento sulla fotografia nelle fasi successive allo scatto è vecchia praticamente quanto lo fotografia stessa - il più noto fotomontaggio della storia è quello realizzato da Henry Peach Robinson con "Fading Away" nel 1858 - così come dovrebbe essere noto che l'intervento successivo si diversifica in diverse tipologie, ma è da quando la tecnologia digitale si è affermata saldamente che la "diffidenza" si è impiantata nell'osservatore medio.

foto B - Scilla (RC) - ©Giancarlo Parisi
Il fatto che con le tecniche digitali è relativamente più semplice realizzare alcuni interventi sull'immagine ha generato un decadimento verso la considerazione del fotografo: mentre prima quest'ultimo era guardato con ammirazione là dove produceva delle immagini rientranti nella descrizione di cui sopra, oggi lo stesso fotografo che produce le stesse immagini è etichettato come "smanettatore informatico". In buona sostanza, quando gli interventi di postproduzione erano realizzati a mano, attraverso le tradizionali tecniche di camera oscura, si verificava che chi le ignorava vedeva il fotografo come una specie di mago, chi invece le conosceva stimava comunque il fotografo per essere in grado di padroneggiarle. Il fatto che oggi tali interventi si realizzino al computer ha ingenerato una serie di convinzioni errate che è obiettivamente difficile gestire. Non è affatto vero che è tutto più facile, o almeno non lo si può dire così semplicemente, per cui cerco di sviluppare alcuni punti che ritengo importanti per cercare di recuperare un pò di rispetto per il proprio lavoro.


1) E' senz'altro vero che alcuni interventi sono stati semplificati dalle tecniche digitali, pensiamo ad esempio all'aumento della saturazione di una fotografia. Con la fotografia a pellicola, per incidere sulla brillantezza dei colori era necessario innanzitutto scegliere un certo tipo di emulsione caratterizzata appunto per la particolare resa cromatica (si pensi al defunto Kodachrome o all'ancora attualissima Fujichrome Velvia 50), in secondo luogo si dovevano adottare una serie di accortezze sia in fase di ripresa, ove era necessaria una certa sottoesposizione, sia in fase di sviluppo, del quale bisognava controllare minuziosamente ogni fase, scegliere le giuste dosi e soprattutto controllare attentamente la temperatura dell'acqua. Con la fotografia digiale tale controllo è basilarmente più semplice, se si considera che è sufficiente muovere uno o due cursori per aumentare la saturazione dei colori; in realtà c'è molto di più da considerare al riguardo, visto che la gestione del colore in fotografia digitale è paradossalmente più complessa che con la pellicola, come spiego in questo tutorial (e successive puntate), ma lasciando da parte discorsi più complessi cerchiamo di rispondere semplicemente ad una domanda: Il fatto che per ottenere un determinato risultato io ricorra ad un procedimento complesso e laborioso anzichè ad uno più snello e rapido può essere indice in base al quale valutare una immagine? In altre parole, na fotografia particolarmente gradevole scattata a pellicola è migliore della stessa fotografia scattata in digitale, solo perchè la prima richiede maggiori sforzi per essere prodotta? Io non credo, piuttosto ciò è indice di un modo sbagliato di fruire la fotografia, soffermandosi più sul come piuttosto che sul perchè.

foto C - San Luca (RC) - ©Giancarlo Parisi
 2) è parimenti innegabile che l'avvento del digitale abbia ampliato il ventaglio delle possibilità del fotografo, fornendogli strumenti molto potenti per fare cose prima impensabili o a limite della possibilità. Ciò non toglie che tali interventi risultino comunque molto complessi e richiedano una preparazione informatica e fotografica di base piuttosto solida. La fotografia (C) ha richiesto circa un'ora di postproduzione per ottenere quel risultato, lavorando su tre diversi sviluppi dello stesso negativo digitale, ciò al fine di ottenere leggibilità in ogni punto del fotogramma. Ciò ha presupposto la consocenza approfondita di un programma di fotoritocco professionale e dei fondamenti della fotografia, in modo da intervenire correttamente in funzione del risultato ottenuto.


3) Un altro fenomeno distorsivo del digitale consiste nella presupposizone di un effetto computerizzato per ogni effetto visivo "diverso" dall'ordinario. Si prenda ad esempio la fotografia (B): l'effetto seta sull'acqua è stato spesso preso per un filtro digitale applicato in postproduzione, nell'erronea convinzione che il computer possa fare tutto e, peggio, automaticamente. Esistono filtri e plug-ins che simulano (che è diferso da realizzano) determinati effetti - in questo caso la long exposure - ma nella foto in questione non sono stati applicati. Quella immagine ha richiesto 71 secondi di esposizione a ISO 200 ed f/13 per via dell'utilizzo di un filtro NDx400 anteposto all'obiettivo. Il problema è che, oggi, è più comprensibile dire di averlo "fatto al computer", piuttosto che spiegare cos'è un filtro neutral density, per cui, paradossalmente, sarebbe più proficuo farlo davvero al pc piuttosto che farsi mangiare dalle zanzare sugli scogli... peccato che il risultato non sarebbe lo stesso.


Il problema di fondo risiede, ancora una volta, nella componente culturale della fotografia, distorta dall'immane macchina commerciale che le ruota attorno. La fotografia è molto di più che la semplice versione automatica generata dalle fotocamere compatte o, peggio, da telefonini e smartphone. Essi, pur dotati di una certa utilità e importanza, stanno gettando ombra su tutto ciò che di altro è la pratica fotografia! In altre parole, si sta verificando il fenomeno per il quale tutto ciò che non è realizzabile immediatamente con un solo click, o al più con l'applicazione di un filtro digitale (possibilmente già dal menù del dispositivo di acquisizione) non è più fotografia.

Combattiamo questo fenomeno.

 

9 commenti:

Nicola Petrara ha detto...

Aggiungo una mia considerazione... la presunzione che porta talune persone a sentirsi legittimate a esprimere "ma l'hai modificata a photoshop?" è dovuta alla relazione spettatore-autore. Davanti ad un'immagine di Erwin Olaf o Julia Fullerton-Batten (dichiaratamente prodotte e integrate con l'ausilio di mezzi digitali) a pochi verrebbe da obbiettare che sono artefatte. Spesso mi capita di ricevere contestazioni simili solo perché chi me le rivolge ha velleità di cultura fotografica tale da sentirsi capace di replicare uguale, se non meglio, la stessa immagine, in breve ti è permesso farlo solo se risulti essere un artista conosciuto.

Giancarlo Parisi ha detto...

In una buona percentuale di casi è come dici Nicola, ma nel mio caso nemmeno quello, credimi... È uma situazione disperata...

sandro ha detto...

Stavolta Giancarlo non mi trovi del tutto d'accordo.
Concordo invece sulla necessità e difficoltà di fare una fotografia lenta che viene spesso sbrigativamente ascritta alla "semplicità" di intervento con il computer.
Le immagini (si possono ancora chiamare fotografie?) di Olaf e altri artisti digitali del genere partono dal presupposto di una profonda modifica della realtà, la livellano, la manipolano e fanno della trasformazione del vero una parte del loro racconto.
Henry Peach Robinson usava le sovrapposizioni per raccontare storie fantastiche, era appunto uno strumento per imbastire una scenografia fantastica, non era il fine.
Nelle immagini di paesaggio il discorso è diverso. Se ci mostri un panorama profondamente alterato, sia un occhio poco critico che uno che dispone di più strumenti di analisi, viene turbato. Perché un soggetto naturale così comune, condiviso e conosciuto da tutti, non si può trasformare e spacciare per vero senza aspettarsi una qualche reazione.
Quello che voglio dire è che quando si parla di un contesto che fa dell'alterazione (post-produzione) un marchio di fabbrica e uno strumento per dire "altro" e andare oltre, la questione del ritoccato perde valore, è appunto un presupposto di partenza.
Quando invece si cerca di far esplodere con colori innaturali e luci impossibili un elemento naturale per il gusto di renderlo più attraente, allora il trucco diventa debole perché auto-referenziato, l'immagine inizia e finisce sull'alterazione. Il fotoritocco non diventa più funzionale a "qualcosa", ma un accessorio che aspira a esser soggetto.
Cioè, non è abbastanza bello quello che esiste in natura, così lo esagero per colpire.
Quando il ritocco, come nei casi che ci mostri, è così presente, non certo nascosto e quasi orgoglioso di esserci, allora non puoi pretendere che noi apprezziamo un paesaggio vero, ma ci imponi di accettare un paesaggio "virtuale", falsato, non percepibile dagli occhi. Forse così poco interessante da non avere l'onore di apparire in quanto tale?
La domanda "la foto è ritoccata?" va letta, a mio avviso, non come un insulto, ma da valutare in una questione più profonda, ovvero riformulandola: "perché la realtà non ti era sufficiente?".
La risposta a questo punto non è affatto banale.

Giancarlo Parisi ha detto...

Ansel Adams: "Molti ritengono che le mie immagini rientrino nella categoria delle "foto realistiche", mentre di fatto quanto offrono di reale risiede solo nella precisione dell’immagine ottica; i loro valori sono invece decisamente "distaccati dalla realtà". L’osservatore può accettarlo come realistico in quanto l’effetto visivo può essere plausibile, ma se fosse possibile metterli direttamente a confronto con i soggetti reali le differenze risulterebbero sorprendenti".

Parto con questa citazione per rispondere a Sandro, che ringrazio per l'intervento libero da ogni remora nell'esprimere ciò che pensava. Io capisco perfettamente il tuo punto di vista, ma ritengo che ci siano due errori di impostazione. Il primo riguarda un argomento molto opinabile, percui è da considerarsi sbagliato con le pinze: mi riferisco al fatto di considerare il risultato della fotografia come "verità/realtà". E' stato ampiamente dimostrato che non è così, nonostante il fatto che il noema barthesiano sia comunque esistente e, con le dovute mitigazioni, da me condiviso. Sandro Iovine ha pubblicato un articolo illuminante in tal senso che dovrebbe dimostrare, per l'ennesima volta, che la verità in fotografia non esiste. Per questa ragione io contesto ogni argomentazione che parta dal presupposto che una foto appaia "irreale".

Il secondo elemento che mi sento di contestare nel tuo ragionamento, Sandro, ha a che fare con il concetto stesso di "ritocco". Quello che dici a proposito della valutazione da parte dell'osservatore (esperto o meno) quando il soggetto è noto e condiviso è vero, ma piuttosto che prenderlo come giustificazione di una becera critica alle fotografie lo ascrivo ad una totale mancanza di cultura fotografica, anzi, dell'immagine.
L'esperienza mi ha infatti insegnato che la fotografia non riproduce affatto la realtà ed in alcuni casi è in grado (lei, ontologicamente, non il fotografo barando) di offrire, mostrare, una visione invisibile ad occhio nudo. In particolare, l'occhio nudo profano non potrà vederla; l'occhio nudo esperto potrà previsualizzarla. Per questo ho citato Ansel Adams: la sua fotografia in bianconero è l'esempio più illuminante per spiegare questo concetto, e se io convertissi queste stesse foto in bianconero, senza alterare alcunché, stai pur certo che nessuno mi avrebbe chiesto se le ho ritoccate.

SEGUE...

Giancarlo Parisi ha detto...

Ed ancora mi soffermo su questo termine, che odio: ma ritoccare cosa? Che significa? Forse aggiungere qualcosa di diverso, o "creare" una luce inesistente al momento dello scatto? Posso assicurarti che nessuna di queste cose risiede in quelle fotografie (mi riferisco alla A e alla C); esse sono entrambe il risultato di un unico file raw ed in particolare: La FOTO A non ha richiesto neanche un doppio sviluppo, perchè è bastato applicare una maschera di livello al cielo per bilanciare l'esposizione con il primo piano (ma tutti i dati di cromia e luminanza erano presenti nel raw, anche perchè non uso praticamente mai aumentare l'esposizione con il relativo cursore); La FOTO C invece ha richiesto più lavoro per via dei tre sviluppi diversi, ma sempre da un unico raw, per cui ciò che quella foto mostra non è affatto ricreato o aggiunto, ma realmente esistente al momento dello scatto.

A ragionare nei tuoi termini si cade nella contraddizione di non poter utilizzare gli strumenti (analogici o digitali che siano) perché laddove lo si facesse il risultato sarebbe automaticamente irreale! E non tocco volutamente gli altri tipi di fotografia, perchè in autori come Olaf si avvalgono di strumenti molto più invasivi e, mi si passi il termine, taroccanti della mera maschera di livello per controllare l'esposizione. E questo non lo dico per disprezzare la loro dimensione artistica che invece apprezzo molto.

Per tornare al mio discorso iniziale ti chiedo e chiedo a tutti i lettori, che differenza c'è tra il controllo digitale delle zone di esposizione e l'utilizzo di un filtro graduato in fase di ripresa?
Forse che la maggiore precisione del digitale nel selazionare le porzioni di una immagine è di per sé indice di aggiunta ad un reale insufficiente?

Credo di aver abbozzato una risposta alla tua domanda di chiusura.

sandro ha detto...

Non mi voglio soffermare sugli aspetti tecnici, conoscolo il tipo di elaborazione hai fatto su quegli scatti, ormai dopo anni di esperienza, riesco a intercettare quasi tutto quello che viene fatto sulle immagini. Non mi interessa molto il tipo di "ritocco", che sia digitale o analogico, perché non penso sia questo il punto.
Il punto è il risultato, non tanto il mezzo, quindi non distinguo tra digitale o analogico.
La citazione di Ansel Adams è interessante, ma i suoi paesaggi tutti a fuoco in bianco e nero penso che con molte difficoltà possano subire la domanda "ma è ritoccata?".
Sorvolando sull'aspetto becero della domanda, sul quale non si discute, è ovvio che sia becera, ho voluto nel mio commento non fermarmi a giudicarla ma andare oltre, cercando di capire da dove proviene e perché coinvolge così tanti osservatori.
Perché dunque molti reagiscono così di fronte ad una foto indubbiamente molto ritoccata? (passami la semplificazione, tanto lo facciamo per capirci :-)
Nel mio precedente commento ho cercato di individuare un motivo, ovvero il presupposto di lettura di una foto.
Perché nelle foto di Olaf non scaturisce così di frequente la domanda, quando proprio lì il ritocco è così pesante e invasivo? E perché nelle immagini di questo tipo invece scaturisce spontanea quando sono sicuramente meno manipolate, nel senso che, come confermi giustamente, si tratta di "pochi spostamenti" nelle regolazioni di base?
Secondo me non si può liquidare la domanda etichettandola solo come "becera", mi sembra un po' troppo facile, oltre a essere un po' snob (e te lo dice uno che rischia spesso di apparire snob!). Un motivo dunque ci dev'essere.
Il gioco del vero / non vero... non volevo addentrarmi in un luogo così insidioso. Conosco la posizione di Iovine e sebbene sia più vicino all'asserto di Barthes, la verità in fotografia è in effetti difficilmente dimostrabile. Questo però non ci può impedire di ricercarla e di valutarla. Non volevo scomodare la "Realtà" per foto di paesaggio, che sono quelle forse "più reali", ma proprio per questa loro caratteristica sono quelle più difficili da alterare, perché persino un osservatore comune è in grado di scoprire l'inganno.
Penso che l'inganno della finzione fotografica, di base iscritto nello stesso mezzo (Ansel Adams ritorna) e accessoriata con la post-produzione, riveli in questo caso la sua natura trasparente, ovvero perfino di fronte ad un occhio meno critico perde la maschera e si dimostra tale, rivelandosi.
Dunque, "ma questa foto è ritoccata?" la riformulo (ancora) in un altro modo, come un sussulto orgoglioso e inconsapevole dell'osservatore: "stavolta ho scoperto l'inganno".
Divertente, no?

TMax ha detto...

spero si veda questa foto (http://farm2.static.flickr.com/1267/4674580042_38420d2ba0_b.jpg) che mostra quel simpaticone di Adams sotto la sua più famosa fotografia, anzi sotto due versioni della stessa foto
la prima a sinistra una stampa diretta senza interventi in camera oscura e l'altra dopo 'pesante' fotoritocco (uso questo termine...) da camera oscura
...la seconda chiaramente corrisponde a come Adams ha visualizzato l'immagine ( che è un qualcosa di molto inconscio) ed è uno dei tanti tentativi porvati da Adams, considerando che la foto è stata stampata più e più volte nell'arco di 30 anni per ottenere corrispondenza tra la visualizzazione e la stampa..
la secondo foto è quanto più distante ci possa essere dalla cosidetta realtà...
la domanda che fa tanto incazzare Giancarlo e non solo lui secondo me è becere se fatta da un fotografo, lo è meno e in genere è una domanda senza malizia o cattiveria quando è formulata da chi non frequenta la fotografia se non per le foto ricordo familiari vacanziere...

ciao
TMax

Giancarlo Parisi ha detto...

Ringrazio Sandro per la replica e Massimo per l'intervento, entrambi mi consentite di spiegare meglio.
Mi rivolgo innanzitutto a Sandro per dire quanto segue:
ho capito perfettamente il tuo ragionamento, ma ho ancora delle riserve; in particolare, ciò che non riesco a collocare è l'etichetta stessa di "foto ritoccata" in relazione ad immagini come quelle che ho sottoposto (e potrei fare molti altri esempi di fotografi di paesaggio più bravi di me). Non si tratta solo di difendere il mio lavoro, alla fine dormo beatamente lo stesso la notte, quanto di difendere la fotografia stessa.

Purtroppo non riesco a farmi bastare come risposta alla domanda "perchè questa foto dovrebbe essere ritoccata", il fatto che raffigura un soggetto comune e ben noto...
Provo a ragionare per esempi, forse mi spiego meglio. Prendiamo ad esempio sempre la foto C: cosa avrei dovuto fare per non farla sembrare "ritoccata" agli occhi di questa dicreta fetta di osservatori? Rinunciare alla metà della gamma dinamica offerta dalla macchina? Chiaro che no mi direte.

Ma il punto saliente è che questa fetta di persone, pur non avendo la più pallida idea della fotografia, si permette di sparare sentenze. Il fatto che tali sentenze vengano, a volte, da persone profane è una scusante solo parziale, perchè quando non c'era di mezzo il computer c'era molta meno diffidenza. Ora che invece "si fà tutto al computer" si è diffusa la convinzione che un lavoro del genere sia facile, automatico e alla portata di tutti, anche se non si conosce nulla della fotografia.
A maggior ragione poi mi infastidisco se il commento del kaiser viene da uno del mestiere, ma lasciamo stare.

Insomma, fotografie come queste non sono, a mio avviso, da considerarsi ritoccate (se per ritoccate intendiamo manipolate, artefatte) perchè ciò che mostrano è ciò che effettivamente c'era. D'altra parte a vedere di persona un panorama del genere anche gli occhi hanno bisogno di adattarsi alle diverse condizioni di luminosità tra il cielo e il primo piano: in tal senso la fotografia ha il potere di sintetizzare in un'unica visione ciò che in realtà non può coesistere simultaneamente per l'occhio umano.

E' fotoritocco questo o semplicemente fotografia?

P.S.
con questo credo di rispondere anche a Massimo

Giancarlo Parisi ha detto...

Aggiungo soltanto una precisazione: quando dico che foto del genere mostrano solo quello che realmente c'era, non intendo far passare l'assioma fotografia=realtà.
Piuttosto intendo il fatto che i dati registrati dal sensore sono il frutto dell'esposizione e non ricreati o manipolati successivamente.