domenica 13 febbraio 2011

Alfred Stieglitz e la "Fotosecessione"

Alfred Stieglitz in un ritratto di A.L. Coburn (1908)
Questa puntata di Imago Veritatis voglio dedicarla ad Alfred Stieglitz e al movimento secessionista americano da lui guidato, movimento attraverso il quale la Fotografia lotta (e vince) per vedersi riconosciuto un posto tra le arti figurative. Siamo agli inizi del 1900 e fino ad allora la Fotografia era per lo più vista come un mero mezzo tecnico dalle notevoli capacità mimetiche, che poco o nulla aveva a che spartire con l’Arte comunemente intesa. Anzi, in quegli anni gli sforzi dei fotografi (camera workers) erano per lo più finalizzati alla realizzazione di “riproduzioni” di opere d’arte, nulla facendo intendere che la stessa Fotografia potesse essere arte a sua volta.
La grande personalità di Alfred Stieglitz, il suo gusto estetico in continua evoluzione, la sua capacità di guardare oltre e il coraggio di sostenere le proprie idee nonostante gli scontri ideologici e le difficoltà economiche gli conferiscono un posto d’onore nella intera storia della Fotografia mondiale.
Ed è impossibile parlare di Stieglitz senza parlare, almeno sommariamente, di Camera Work (C.W.) , la sua opera più importante. Camera Work è stata una rivista di arte e fotografia, ideata, diretta, gestita, edita, e in larga parte finanziata dallo stesso Stieglitz, pubblicata in 50 numeri “spalmati” tra il 1903 e il 1917 a cadenza grossomodo trimestrale, caratterizzata da una somma qualità di stampa e da un rigore contenutistico e formale irrinunciabili per l’editore, che esaminava scrupolosamente ogni numero prima di autorizzarne la pubblicazione. Ma C.W. non è solo una bella rivista di fotografia e arte, essa ha fatto da portavoce al movimento dell’American Photo-Secession, una vera e propria scissione nel mondo della fotografia americana (scissione che in Europa era già avvenuta con la nascita del gruppo fotografico Linked Ring), realizzata da quel gruppo di fotografi che in seguito presero il nome di Pittorialisti, e che insieme diedero vita al Pittorialismo.

Il nome Camera Work dall’espressione allora utilizzata per riferirsi ai fotografi, “Camera Workers”, un’espressione che contraddiceva le finalità della rivista e del movimento foto secessionista che rappresentava, ma che era nota a Stieglitz che la scelse appositamente. Il tentativo di emancipazione della fotografia, per la verità, era già stato intentato da Stieglitz attraverso le pubblicazioni della rivista “Camera Notes” da lui diretta e relativa al gruppo fotografico “Camera Club” (nato dalla fusione dell’Amateur photographers di New York e del New York Camera Club nel 1897), ma a causa di conflitti interni con il Club, dovuti essenzialmente alle diversità di vedute, nel 1902 Stieglitz si dimette e fonda C. W.. Più tardi, nel 1905, sempre Stieglitz apre le “Little Galleries of the Photo-secession” al numero 291 della Fifth Avenue (conosciute poi come Galleria 291), le cui mostre erano spesso pubblicate nella rivista. I più grandi autori del Pittorialismo e della Straight Photography devono la loro notorietà proprio a C. W. e alle Gallerie, nelle quali esposero addirittura artisti come Renoir, Picasso, Cézanne, Toulouse-Lautrec e molti altri, grazie alla fiducia loro concessa da Stieglitz.
I costi elevati di stampa, quasi integralmente realizzata con la tecnica della  fotoincisione (l’unica tecnica che soddisfaceva gli elevati standard qualitativi di Stieglitz, che controllava minuziosamente il numero prima della pubblicazione) e la scelta, nel 1910, di pubblicare non più solo fotografie ma opere d’arte in generale, determinò una caduta degli abbonamenti e la rivista non sopravvisse al 1917, anno in cui venne pubblicato il 50esimo ed ultimo numero.
Ma al di là dei dati storici, reperibili facilmente in rete, voglio concentrare la mia analisi sulle opere fotografiche che hanno caratterizzato il Pittorialismo prima e la Straight Photography (sua naturale evoluzione) poi, e voglio farlo sottoponendovi alcune immagini che ho avuto modo di apprezzare in una pregevole ed economica pubblicazione TASCHEN dal titolo “Camera Work – The complete Photographs”, che ho acquistato recentemente per soli 10 euro e dalla quale ho reperito le immagini qui presenti. A tal proposito ritengo di precisare che le riproduzioni che ho realizzato sono molto dozzinali, perché realizzate rifotografando le pagine del libro (delle contenute dimensioni di 15x20x4,5 cm circa); questo infatti, essendo piuttosto spesso, non si apre perfettamente a 180°, rendendo l’uso di uno scanner impossibile. Per la stessa ragione non ho volutamente fatto ricorso a particolari soluzioni tecniche e di illuminazione, che avrebbero complicato le riprese senza aggiungere nulla alla qualità finale; il risultato è tuttavia sufficiente alla divulgazione e al commento, tanto basta.
A mio avviso il Pittorialismo ha lasciato un’eredità da sempre impagabile ma che soprattutto oggi, nell’era della grande digitalizzazione, assume una particolare importanza. Le fotografie di questo movimento sono caratterizzate dal massiccio utilizzo di tecniche varie – sia in fase di ripresa che in fase di sviluppo e stampa, sia sulla stampa finale (attraverso colorazioni o aggiunte pittoriche manuali) – tutte finalizzate a donare all’immagine quell’aura impalpabile, quei contorni sfumati, quel distacco dall’impietoso dettaglio dell’obiettivo, lasciando forse solo l’anima del soggetto. Eppure tutti questi tentativi non riescono, sempre a mio modo di vedere (e fortunatamente aggiungo), a cancellare definitivamente quella certezza innata nel mezzo fotografico, quell’Eidos della fotografia che è la certezza che il referente si è trovato davvero davanti alla lente. Dico per fortuna perché è proprio questa meravigliosa certezza a caricare di meraviglia la visione di un’immagine pittorialista, in un modo che voglio spiegare attraverso le immagini.
A.L. Coburn - Mother and Child - A Study, 1904
Voglio iniziare da questa immagine di Alvin Langdon Coburn, intitolata “Mother and Child – A Study” del 1904. La totale assenza del tipico (e a volte distorsivo) dettaglio fotografico, la morbidezza dei contorni, la luce precisa ma indefinita e i toni che si confondono su quello che è un supporto cartaceo che possiamo solo immaginare sembrano tutti descrivere un’immagine nata dalla fantasia di un artista e nata grazie al suo tratto e alla sua tecnica grafica; un disegno insomma. E perché no poi? Ci sono artisti nella storia dell’arte che hanno ripreso la maternità e l’allattamento in modo anche più dettagliato, più aderente a quella parodia del reale che sempre andiamo cercando in una immagine (disegnata o fotografica che sia). Eppure c’è un qualcosa che ci dà la certezza che quello che stiamo vedendo non è un disegno, e ciò gli conferisce un essenza speciale. Questo qualcosa potrebbe essere semplicemente la notorietà dell’appartenenza di questa immagine al Pittorialismo fotografico, ed è così sicuramente per chi come me l’ha vista per la prima volta solo attraverso una riproduzione tipografica; ma conoscendo questa immagine attraverso la visione dell’originale, la certezza che si tratta di una Fotografia, anche se non nel senso che oggi siamo abituati ad attribuirle, ci proviene dall’originale stesso nel quale, probabilmente, non riconosceremmo i tratti più o meno certi di un disegno, ma qualcosa di diverso che “ci dice” che quella è una fotografia (o per lo meno mina le nostre certezze che si tratti di un disegno). Infrante le nostre certezze scopriamo che quel bambino e quella madre sono davvero esistiti, scopriamo in quel pollice riverso a sostegno della testa del bambino la “verità” di un gesto materno e non la sua ricostruzione mentale da parte dell’artista, scopriamo che ogni piega delle vesti, ogni lineamento del viso, la rotondità del seno gonfio per la maternità sono disegnati da luce vera e non ricreata da parte dell’artista. E allora scopriamo che anche attraverso la fotografia si può riprendere una scena di allattamento, senza generare una visione appiattita dal dettaglio estremo e, appunto, distorsivo dell’obiettivo.  

Ma queste considerazioni vanno bene quando il soggetto è la persona, ma cosa dire a proposito di un paesaggio pittorialista? Ne parliamo a proposito di questa immagine di Hugo Henneberg, intitolata “Pomeranian Motif” del 1906.
H.Henneberg - Pomeranian Motif, 1906 -
Di fronte ad una immagine di paesaggio siamo comunque alla ricerca del “grado di perfezione”, della precisione dei dettagli e del modo in cui questi sono resi nell’immagine (perché un dettaglio può essere presente ma rappresentato in modi molto meno diversi). Quindi apparentemente non ci sarebbero differenze rispetto al soggetto umano, eppure di fronte ad un paesaggio tolleriamo di più eventuali discrepanze rispetto al reale, nell’erronea convinzione che mentre un ramo d’albero può avere qualunque forma e relativamente qualunque tonalità, i lineamenti di un volto devono rispondere a degli standard minimi più elevati. Non è così nei fatti ma è come se lo fosse, quindi lo prendiamo per vero. Il punto è che di fronte ad un paesaggio come quello di Henneberg, pur sapendo che è fotografato e non disegnato, siamo proiettati in voli pindarici attraverso i nostri ricordi e le nostre esperienze passate, molto più di quanto possa fare il più meraviglioso dei paesaggi “solo” fotografati.
Di fronte a questo pomeriggio così ritratto e reso alla vista si sviscerano i ricordi di una vita, durante i caldi pomeriggi estivi, con il profumo dell’erba e del vento, con il polline nell’aria e il canto delle cicale; poi, proiettiamo tutto questo in tempi non definiti, magari totalmente fuori dai nostri, immaginando magari l’estate di un campo di cinque secoli or sono… Questo può fare un paesaggio pittorialista.

R.Demachy - Study, 1906
Un’ultima proposta prima di chiudere questa puntata, con la promessa di nuovi appuntamenti di questo tipo. Uno “Studio di Nudo” di Robert Demachy, del 1906. Qui tornano ad assumere rilevanza le considerazioni sulla maternità di Coburn, ma ve ne si aggiungono altre.
Il nudo è sempre stato oggetto di studio nella semiotica delle immagini, perché il nudo può essere “artistico” o “pornografico”; in entrambi i casi ci troviamo di fronte alla rappresentazione, grafica o fotografica, di uno o più corpi nudi, solo che mentre la rappresentazione grafica di un atto sessuale, o anche solo di genitali esposti senza pudore, rimane sempre tollerabile e ammissibile come espressione artistica (si pensi a “L’origine du monde di Courbet), la stessa immagine raffigurata in fotografia diventa porno-grafia.
In questa immagine di Demachy abbiamo l’“Arte” di una rappresentazione pittorica in senso stretto (pensiamo ad Olympia di …) e l’esplosivo erotismo e femminilità dei nudi di Edward Weston. L’elemento che più mi “punge” è l’alluce sinistro della ragazza, contratto in una posa ambigua (freddo? Imbarazzo? Tensione?) ma estremamente femminile e soprattutto “esistito”. 

Ma qual è, oggi, il valore del lascito del Pittorialismo? Oggi sento spesso parlare di “belle immagini” che però non sono fotografia, perché magari l’intervento dell’autore nella fase di editing (la fantomatica postproduzione) è andato eccessivamente a stravolgere quel “sacro rapporto” con il reale che si pretende dalla fotografia; vedo spesso gli strumenti attualmente offerti dallo stato dell’arte della tecnologia fotografica utilizzati in modo assolutamente avulso, a tentoni, senza un filo logico e, ciononostante, senza che ciò impedisca di inventare fantasiose classificazioni e categorizzazioni per le immagini figlie di tale uso.
Il pittorialismo ci insegna il metodo per ottenere dalla fotografia quello che molti fotografi (specialmente amatori) cercano senza mai trovarlo pur credendo di farlo, quel qualcosa che rientra nella teoria degli “equivalents” elaborata e seguita dallo stesso Stieglitz: ciò che molto spesso si chiede alla fotografia, praticandola, è di generare in noi, guardandola, sensazioni e moti interiori equivalenti a qualcosa che abbiamo vissuto e sentito. Qualcosa che non sia solo il ricordo di un momento passato, ma che sia invece in grado di accendere in noi scintille analoghe a quelle accese aliunde e concretamente; e se per fare questo la mente umana si avvale del ricordo, poco importa.

4 commenti:

sandro ha detto...

Ho letto con molta attenzione perché mi piace particolarmente quel momento così illuminato nella storia della fotografia che fu il Camera Work.
Non ho ancora comprato il piccolo grande libro della Taschen, non perché non sia completo, ma perché... caspita quelle dimensioni così ridotte!!
Sono ancora alla ricerca di qualche pubblicazione più corposa e godibile per grandezza. Ne ha fatta una l'Alinari, che poi è il catalogo della mostra su Camera Work di Firenze, ma ancora non completamente soddisfacente. Credo però che si riesca ancora a trovare qualche copia più "antica".
Sul discorso dell'impalpabilità delle immagini dei pittorialisti sono molto d'accordo, anch'io scrissi un testo sulla nuova moda di recuperare nel digitale il look delle vecchie fotografie.
la mia bella brutta effimera polaroid.
Comunque bell'articolo ;-)

Giancarlo Parisi ha detto...

Ciao Sandro e grazie per il tempo che hai dedicato all'articolo. Il volume Taschen è sicuramente riduttivo, ma per 10 euro vale la pena prenderlo, in attesa di qualcosa di meglio :-)

Leggerò quanto prima il tuo post, che è sicuramente molto interessante, intanto aggiungo il tuo blog a quelli che seguo.

francesco peluso ha detto...

Anche se non sono un esperto di storia della fotografica posso dire che la visione delle immagini di Stieglitz ha contribuito in maniera importante alla mia personale formazione di fotoamatore.
A farmi capire che la fotografia non è solo un concetto estetico.

Tra le sue immagini non posso fare a meno di citare Winter Fifth Avenue del 1893 ma anche The Hand of Man del 1902.
Superba ed originale interpretazione del pittorialismo dell'epoca.

Ma soprattutto The Steerage del 1907 che, a detta degli storici, rappresenta il vero spartiacque nella storia fotografica

Mi impressiona vedere ancora la freschezza, la moderna attualità di cui sono composte queste immagini.
La loro forza espressiva soprattutto se rapportate all'epoca.

Riferito a The Steerage sperando di fare cosa gradita copio un pezzo tratto da un vecchio numero di Progresso Fotografico.

"Per Stieglitz The Steerage rappresenta l'autentica presa di coscienza della fotografia, come l'adolescente che si risveglia e comprende che nel corso della notte è avvenuto un mutamento radicale, che l'epoca del gioco si è chiusa per entrare nel gioco della vita.

Aveva ragione l'amico Keily quando affermò che in quella fotografia c'erano due immagini, una sopra e l'altra sotto.
Una fotografia così nessuno l'aveva mai vista prima, ne con alcun mezzo mezzo dell'arte visiva era stata mai prodotta un'immagine tanto aderente alla realtà minore.
Si certo, la storia dell'arte è ricca di pazzi rivoluzionari, per nostra fortuna, che hanno sconvolto le regole del buon convivere creativo.
Però fino a quel momento era intervenuto il concetto di un equilibrio fra racconto e libera messinscena del racconto.
"

Giancarlo Parisi ha detto...

Ciao Francesco e grazie del prezioso contributo. Conosco anche io quel pezzo di "progresso fotografico" perchè possiedo una copia di quel numero e ti ringrazio di averlo portato in discussione per arrichirla di un importante contenuto.

Effettivamente quell'immagine rappresenta una linea maginot tra il Pittorialismo e la Straight Photography, passaggio che andrebbe approfondito, magari in un altro post.