domenica 16 gennaio 2011

Sulle "vittime" in Fotografia

fonte immagine: http://press.liacs.nl/medialab/bin/showpage.cgi?doc=146

 Sono alcuni giorni che riordino le idee per questo post, che oggi mi accingo a scrivere conscio della sua congenita incompletezza. Mi scuso anticipatamente con tutti i lettori perchè sono stato tutt'altro che sintetico, ma l'argomento trattato mi sta particolarmente a cuore ed è difficile da trattare compiutamente in una sede come questa. Sono anticipatamente grato a tutti coloro che avranno la pazienza di leggermi fino in fondo e ancor di più a coloro che vorranno dare il loro contributo.

Parto da una domanda, che ho già espresso in questo post il quale, tra l'altro, ha contribuito a chiaririmi le idee : Perchè la Fotografia deve subire, più di molte altre manifestazioni artistiche/comunicative/umane, la superbia degli individui? 
Non è da molto, al massimo un anno, che ho iniziato a ragionare su questo quesito, mosso da diverse esperienze e relazioni umane, letture e frequentazione di ambienti di interesse fotografico. Sicuramente ha contribuito a queste riflessioni anche il tipo di percorso che ho fatto nella fotografia, fatto di un passaggio radicale dall'interesse per lo studio della tecnica all'interesse per gli aspetti contenutistici, storici, estetici e comunicativi della Fotografia: in una parola, la critica.

Ma a cosa mi riferisco quando parlo di superbia? In genere faccio riferimento a tutte quelle situazioni simili all'episodio descritto nel post che ho linkato e che vi invito a leggere; è davvero impresa titanica sintetizzare ma si tratta, in buona sostanza, di tutti quei casi in cui non la superbia, la saccenza, la mancanza di umiltà, la pochezza di vedute e la convinzione di essere ormai "a posto" impediscono il confronto e la crescita, prima umana, poi fotografica. 

Potrei peccare di eccessiva generalizzazione, quindi preferisco inserire un chiarimento: sono consapevole che quanto dico non è assoluto e che (per fortuna) esistono dei "porti sicuri" (da intendersi come persone) nei quali approdare per il civile confronto, ma il proliferare della situazione contraria mi induce alla riflessione nella quale, talvolta esagererò volutamente.
E' ormai inveterata la condizione di fatto che vede l'utente medio del "prodotto fotografia" come "vittima" (spesso addirittura volontaria) di un ingegnoso e spaventoso sistema che vede protagonisti molti soggetti: case produttrici di apparecchiature fotografiche, riviste di settore, operatori di marketing sono solo alcuni, dal momento che essendo un sistema che smuove molto denaro potremmo tranquillamente inserire soggetti finanziari, società di capitali et similia, ma non voglio esagerare.
Quello che mi preme analizzare è lo stato di fatto determinato da questo "essere vittima", un'analisi che in parte ho già fatto nel post "Il (un) punto sulla fotografia nell'immagine che di essa danno le riviste di settore" al quale rimando (prescindendo da qualunque riferimento personale ai soggetti ivi intervenuti) per ulteriori approfondimenti.
Sto parlando di quella situazione di fatto che vede il fotografo (nell'accezione generica di colui che scatta fotografie) arroccato nella sua posizione e che maltollera ogni attacco ad essa. La posizione che si traduce nei vari: ma l'ho fatta apposta così; a me piace così; la fotografia è soggettiva; a me ha trasmesso questo; e via discorrendo... Diciamo in genere ogni situazione nella quale il fotografo cerca, a tutti i costi, di giustificarsi di fronte ad una critica mossa ad una o più delle sue foto, peraltro negando assolutamente di volersi giustificare.

In poche parole, per non dilungarmi oltre, sto parlando di tutti quei fotografi che non tollerano alcun tipo di critica alle loro immagini, pur asserendo in ogni dove della rete di accettare commenti e critiche; che non ammetteranno mai di versare in questa situazione e che, dovessero leggere queste righe, penseranno ad altri e non a se stessi!

Ma chi sei tu, Giancarlo Parisi, per affermare con tanta presunzione tutto questo?

Chiaro che molti si faranno questa domanda, purtroppo saranno gli stessi fotografi cui mi riferivo prima, per cui la risposta è in questo intero post, ammesso che serva. Se le mie considerazioni possono apparire presuntuose me ne scuso fin d'ora, ma la presunzione, parente stretta della saccenza, si manifesta di solito in modo più sintetico e meno argomentato, ma soprattutto senza prendere in considerazione le posizioni altrui. Io invece invito chiunque al confronto, pronto a mettere in discussione e a rivedere il mio pensiero di fronte a tesi meglio argomentate.

Chiarito cosa intendo per superbia in Fotografia, passo alle considerazioni che riguardano le ragioni di tale superbia. Alcuni colloqui con altre persone mi hanno suggerito che la ragione di tale propensione alla superbia di cui disporrebbe la Fotografia risiederebbe nel fattore tecnico: la fotografia infatti è prima di tutto un procedimento ottico/fisico che consente, mediante una fotocamera, di proiettare su una superficie sensibile alla luce, un'immagine fomata da una lente e che tale superficie registrerà in ogni dettaglio. Per riuscire in questa impresa è necessario familiarizzare con il concetto di esposizione e con i suoi corollari tempo, diaframma, valore ISO, focale e messa a fuoco.
Questi sono gli elementi tecnici dai tempi di Daguerre (1839), non è cambiato nulla dal punto di vista di ciò che è necessario ad impressionare la superficie sensibile correttamente (cioè in maniera nitida e non sovra/sottoesposta). Certo, sono cambiati gli strumenti, sempre più piccoli e maneggevoli, sono intervenuti gli automatismi che si occupano di mettere a posto i parametri di ripresa, quindi di fare il lavoro sporco, un lavoro che qualcuno deve pur fare però.
Ora, la mera padronanza della tecnica, ammesso che sia davvero tale, può essere un motivo valido per ritenersi dei validi fotografi? Molti pensano di si, anche se non lo ammettono. Proprio ora mi viene in mente un episodio di tanti anni fa, quando avevo iniziato a fotografare da pochissimo e non sapevo quasi nulla: un tale mi mostra un ingrandimento 30x40 raffigurante una spiaggia di notte illuminata solo da un faretto alogeno: "questa l'ho scattata con una pellicola 400 ASA!!!" mi disse. Una fotografia che all'epoca mi parse incredibile e che oggi vedo normalissima, e che potrei rifare praticamente ogni sera scendendo in quella spiaggia quando ormai è completamente buio.

Superbia da parte mia? No, semplicemente un esempio per dire che quella foto non era altro che un perfetto esercizio tecnico, con una discreta composizione se non ricordo male, ma nulla di cui vantarsi come alto esercizio di tecnica se consideriamo che nel 1850 altri fotografi hanno realizzato riprese fronteggiando e risolvendo problemi tecnici molto più complicati a causa di tecnologie molto meno evolute (emulsioni molto lente, lenti poco luminose, apparecchi molto ingombranti); il valore di quella foto non era affatto tecnico, bensì storico-paesaggistico-territoriale al più, e non è un minus! Non so se riesco a rendere l'idea, ma fare una fotografia, da un punto di vista squisitamente tecnico, significa risolvere un problema. Come fare un calcolo insomma: lo possiamo fare a mano, col pallottoliere o con la calcolatrisce scientifica a 12 cifre. Può essere la mera risoluzione di questo problema motivo di vanto per il "fotografo"? In altre parole, basta questo per fare una buona fotografia?

La risposta è chiaramente negativa, e lo era tanto ieri (quando almeno ci si poteva vantare di aver risolto i problemi di esposizione a mano e senza tecnologie) quanto, a maggior ragione, oggi, visto che le apparecchiature odierne fanno quasi tutto il lavoro sporco. E affermazioni del tipo "Ah, ma io scatto sempre in manuale" lasciano il tempo che trovano dal momento che la scelta dei parametri di ripresa è comunque affidata ad un sofisticato esposimetro incorporato nella fotocamera con migliaia di dati di riferimento memorizzati per determinare la giusta esposizione.
Fotografare in manuale oggi è una presa per i fondelli rispetto a quello che faceva già una Olympus OM-1 o una nikon F3, e parliamo già di fantascienza rispetto alla fotocamera usata da Frank Hurley in Antardide , quando riuscì a fotografare la nave Endurance intrappolata nei ghiacci, illuminandola con solo 18 (se non ricordo male) "flash" alla polvere di magnesio.

Ma la tecnica è importante, certo. Bisogna comunque sapere perchè scattare a F8 anzichè a F4, sapere cos'è la profondità di campo, sapere quale tempo usare per congelare il movimento eccetera. Ed è anche vero che la realizzazione di una fotografia che ha richiesto la risoluzione di problemi particolarmente ostici di ripresa può dare molta sodisfazione. Il punto è che la mera conoscenza di tutto questo non mi garantisce di fare buone fotografie. Se fotografo un treno in corsa alla stazione a 1/2000 di secondo a F8 e ISO 1600 avrò operato le giuste scelte operative per riportare su superficie sensibile l'immagine di un treno! Lodevole (quanto?), e poi? Un chirurgo deve saper fare un'incisione cutanea così come un chitarrista deve saper suonare la chitarra. Tutte operazioni che richiedono la conoscenza di una tecnica, ma che non sono eseguite da tutti allo stesso modo: non tutti i chitarristi sono Bryan May e non tutti i chirurghi sono Christiaan Barnard!

Eppure oggi ci sono alcuni fotografi che, comprata la loro prima fotocamera (sempre più spesso una DSLR visto l'abbattimento dei costi) si sentono già in grado di dispensare consigli, di "fare" belle fotografie e che, appunto, maltollerano le critiche. Perchè? Cosa dà a questi soggetti la convinzione di saper fare Fotografia (volontariamente ricorro al sostantivo singolare femminile) visto, tra l'altro, che le fotocamere sono sempre più semplici da utilizzare? Chiunque può comprare una reflex oggi, e dopo due giorni uscire a fare un paio di foto ai tramonti in maniera più che dignitosa, basta mettere la fotocamera in modalità "landscape" e il gioco è fatto. So già che qualcuno sta per eccepire che non è la stessa cosa, che un tramonto in HDR non è roba da tutti eccetera, ma il punto non è questo, perchè anche l'HDR non è altro che una tecnica, che posso applicare tanto alla foto dello sterco di cammello (tanto per fare un esempio di un soggetto poco interessante) quanto alla più sublime delle vedute di paesaggio; una tecnica, peraltro, che non tutti sanno applicare in modo adeguato. 

Quindi torniamo al punto di partenza, ovvero il fatto che la conoscenza della tecnica è poca cosa rispetto al motivo per il quale quella tecnica è utilizzata, che nel nostro caso significa mostrare/raccontare qualcosa. E sarà quel qualcosa a rendere davvero funzionante una fotografia. Devo raccontare qualcosa per forza? No per carità, ma sarebbe almeno opportuno che questa decisione sia consapevole e non figlia dell'ignoranza del fatto che lo strumento Fototrafia consente di raccontare qualcosa.In tal senso si è espresso meglio di me Sandro Iovine in un suo editoriale de "il Fotografo".
 
Henri Cartier-Bresson diceva che la parte tecnica della fotografia era per lui una cosa istintiva ed automatica; il tempo necessario all'impostazione della fotocamera aveva, nel tempo complessivo dedicato allo scatto, una valenza minima, come guidare o andare in bicicletta, e questo concetto si sposa bene con un pensiero di Elliot Erwitt: "Quando è ben fatta, la fotografia è interessante. Quando è fatta molto bene, diventa irrazionale e persino magica. Non ha nulla a che vedere con la volontà o il desiderio cosciente del fotografo. Quando la fotografia accade, succede senza sforzo, come un dono che non va interrogato né analizzato." 

Come ogni pensiero dei grandi fotografi va filtrato e non preso alla lettera, ma leggendo tra le righe quello che rimane è un concetto molto semplice, oggetto di questa mia riflessione. L'applicazione tecnica è nulla senza l'oggetto di tale applicazione, ovvero il soggetto, il racconto, la storia.
"Bravo Parisi, hai scoperto l'acqua calda!" mi si dirà. Concetti scontatissimi, tutti sanno che è il soggetto che conta, che ci vuole "il manico", che la foto la "FA" (?) il fotografo, e via discorrendo. Frasi fatte che ho sentito milioni di volte da parte di persone con cui non è stato possibile intavolare uno straccio di discussione civile, discussione che finiva esattamente come nel caso del primo post che ho linkato.

E qui i miei ragionamenti arrivano ad un ulteriore svliuppo. Cerco dentro di me, cerco di guardarmi da fuori per comprendere se è un mio errore il pretendere da altri qualcosa che è solo mio, per comprendere se sono egoista alla maniera di Oscar Wilde secondo il quale l'egoismo non consiste nel vivere come ci pare, ma nel pretendere che gli altri vivano come pare a noi. Cerco, ma non trovo una risposta. 
Più volte sono stato criticato per il voler imporre la mia visione, ma ho sempre sostenuto apertamente che non è così, perchè ho sempre cercato di argomentare le mie ragioni, aperto ad ogni antitesi che possa definirsi tale. Una risposta in realtà me la sono data, ovvero il fatto che è impossibile pretendere una discussione argomentata da chi non ha nessuna intenzione di guardare al dì la del proprio naso e che taccia ogni tentativo di allargare il discorso come una imposizione alle proprie vedute. Perché allora questo pò pò di papello? Perchè è una risposta amara, che mi lascia insoddisfatto nell'animo e perchè ho sempre cercato di mettere a disposizione degli altri le mie poche esperienze in maniera gratuita e incondizionata, ricavandone spesso insulti e invettive, ma non voglio autocommiserarmi e accetto tutto, voglio invece arrivare ad un punto di questo chilometrico post.

Sembrerà che io salti di palo in frasca, ma il male di cui soffre la Fotografia, come è stato acutamente osservato da Ando Gilardi nel suo volumetto "Meglio ladro che fotografo", è dovuto al fatto che essa non è considerata degna di insegnamento (particolarmente in Italia) quindi di studio, e questo determina l'assenza di una letteratura al riguardo e, ancora, l'assenza di una specifica terminologia. Questa mancanza determina l'assoluta genericità degli strumenti lessicali utilizzati per "spiegare" la Fotografia, il che ha delle dirette conseguenze in merito a ciò di cui sto parlando: la carenza lessicale della Fotografia rende tutto opinabile, assoggettando ogni considerazione alla mercé dell'ultimo arrivato! 
In buona sostanza lo stato di "vittima" del fotografo (ricordo che sono cosciente di generalizzare eccessivamente ma volontariamente) è alimentato dalla genericità con cui si parla di Fotografia, per cui qualunque confronto si ponga in essere sarà destinato a fallire come confronto vero, rimanendo confinato a mera considerazione personale. Detto ancora più semplicemente, qualunque critica alla o alle fotografie della nostra "vittima" non sarà mai presa davvero in considerazione (che non vuol dire accettarla incondizionatamente) perchè sempre e solo vista come parere personale.
Eppure un pò di letteratura c'è al riguardo, voglio fare una citazione. Penso a "La camera chiara - Nota sulla fotografia" di Roland Barthes: un libretto di un centinaio di pagine, i cui contenuti sintetizzati potrebbero occuparne al massimo dieci. Eppure quella che ad uno sguardo superficiale è pura pedanteria dell'autore, si rivela in realtà uno strumento prezioso per metabolizzare alcuni concetti. Attenzione, non sto affermando che "La camera chiara" è il Corano della fotografia e che tutto quello che c'è scritto è va preso come oro colato, ma stiamo parlando di un'opera conosciuta in tutto il mondo, che proprio per via del registro utilizzato dall'autore (a mio avviso) lascia un segno importante in chi lo legge senza pregiudizi. E' solo un esempio per far comprendere come i migliori scritti al riguardo spesso appaiano inutilmente pedanti, quando invece ciò è dovuto alla carenza di terminologia di settore, che viene quasi in toto mutuata dall'arte figurativa non fotografica e per ciò stesso imperfetta. 

La natura stessa della fotografia, il suo "noema" per citare Barthes, risiede infatti in quello che lui stesso definisce "il tempo": la raffigurazione fotografica infatti non può prescindere dal fatto che il suo referente (il soggetto) era proprio davanti all'obiettivo al momento della ripresa. Questo particolare che oggi appare scontato, ovvio e indegno di essere considerato, è la ragione che distingue la Fotografia da qualunque altra rappresentazione - la Fotografia in tal senso è "presentazione" - figurativa e che le fa necessitare un linguaggio ad hoc.
Ed allora, per arrivare ad una prima conclusione e lasciando spazio a chi vorrà intervenire. in attesa che la Fotografia maturi il suo lessico, dovremmo assumere posizioni più aperte, meno drastiche e meno egocentriche, allargare al massimo le nostre vedute evitando di assumere posizioni pregiudizievoli su chicchessia ed ammettendo che potremmo sbagliarci.
E' difficile, specie per alcuni, perchè implica l'ammissione che esiste un mondo altro rispetto a quello dove siamo confinati, un mare oltre la nostra piscina per citare un'amica, e tale ammissione implica a sua volta la necessità di spendersi per la conoscenza.
Diversamente rimarremo vittime.



18 commenti:

Stelassa ha detto...

Ciao Giancarlo, credo che ciò che penso sulla questione sia già espresso nel post che hai gentilmente linkato e in altri che chi non ha di meglio da fare può scorrersi. Conosco gente che, avvelenata per l'atteggiamento di cui parli, ha deciso addirittura di smettere di tenere letture portfolio. Anche io provo amarezza e mi va discretamente il sangue alla testa quando mi interfaccio con certi soggetti, ma a un certo punto non posso certo farmi carico del "male del mondo". Sarà egoistico, ma alla fine ciò che conta per me è che la MIA umiltà lasci il dovuto spazio alle critiche di chi ha qualche anno in più sulle spalle passato a farsi le domande giuste e soprattutto a trovare delle risposte non scontate. Magari poi non combino nulla neanch'io, ma almeno ci avrò provato fino in fondo :)

Giancarlo Parisi ha detto...

Si senza dubbio Stelassa, ma il mio non è solo uno sfogo, è anche una riflessione sui motivi di questo fenomeno. Autocommiserarsi non serve e nemmeno farsi carico dei mali del mondo. Ma forse leggere queste righe potrebbe "recuperare" qualcuno.

Così, con un pò di presunzione anche...

laura b. ha detto...

Io credo che bisognerebbe rispettare tutti.
Il tuo modo di vedere e vivere la Fotografia è senz'altro lodevole ma non puo essere un dogma che tutti devono seguire.
A te piace analizzare tutto ? Bene, ma è il TUO modo di fare di accostarti alle cose e di viverle.
Altre persone hanno il LORO modo che è altrettanto giusto e contro il quale nessuno puo e deve fare polemica o cercare di ottenere di piu o imprimere piu interesse.Semplicemente la fotgrafia è divisa in sezioni come anche il disegno la pittura ecc. c'è chi ama fare disegnini mentre telefona e poi magari ci fa un quadro chi invece frequenta solo gallerie esclusive.Ma nessuno puo e deve venire giudicato per questo.
So forse a cosa ti riferisci con la tua riflessione e proprio per questo ti dico : ad alcuni piace alzare la macchina e scattare.stop.ne piu ne meno.non sentono il bisogno di sapere o imparare di piu.E quando intervengono in un post credo che da parte di chi ha un approccio diverso bisogna che ci sia la massima libertà di espressione e non sentirsi sempre chiamato in causa o in dovere di approfondire.Se la persona in questione non vuole sapere di piu è inutile star li a spiegare, se vorrebbe farebbe gia di suo piu domande.
Dunque concludo......non rispondere sempre a tutti e non cercare di dire piu di cio che vogliono sentirsi dire coloro che di fotografia di più non vogliono sapere.Eviti spiacevoli inconvenienze....:-)..ciaoooooooooo

Giancarlo Parisi ha detto...

Cara Laura ti ringrazio per la partecipazione alla discussione. Come ben sai comprendo perfettamente quello che vuoi dire dal momento che più volte abbiamo avuto modo di confrontarci su questi argomenti, ed è per questo che mi pare tu abbia risposto più sulla base delle nostre precedenti discussioni che su quello che ho in effetti scritto :-)

Quello che dici è giusto, io non sono nessuno né per imporre una visione né per pretendere un certo approccio alla fotografia, ma non ho detto questo con il mio post.

Io mi rivolgo a tutti coloro che, pur limitandosi ad "alzare la macchina è scattare" (uso questa tua espressione per indicare in genere tutti coloro che non amano un approccio particolarmente impegnato alla fotografia) pretedono di essere e/o fare molto di più.

Insomma, il mio è un invito alla presa di consapevolezza e all'abbandono della presunzione.
Detto in maniera tremendamente spicciola: "Ti piace scattare in maniera compulsiva, senza pensare a nulla, senza studiare nulla, senza voler raccontare nulla? Giustissimo e liberissimo di farlo, ma sei TU (soggetto ipotetico) a non dover credere di essere molto di più e a non dover screditare chi si dedica maggiormente".

Questo purtroppo accade spesso...

laura b. ha detto...

A me il discorso non sembrava cosi diverso onestamente l'unica differenza che per le altre volte in cui io e te ci siamo confrontati ci siamo soffermati su singoli soggetti e questa volta hai allargato la cerchia su un generico numero di persone con lo stesso atteggiamento.
Di fondo non cambia la cosa, io la penso esattamente come te.
Ma non solo nel campo della fotografia.

Se tutti gli uomini (inteso come genere umano) fossero capaci di autocritica molte cose non succederebbero.
Ne nel campo della medicina ne in politica ne in altro, se ciascuno si valuterebbe per cio che realmente sa o sa fare e non per cio che vorrebbe o crede, beh....sarebbe un mondo perfetto.
Ma si sa....l'uomo tutto è tranne che perfetto.

Cosa fare ?
Non molto temo.....

Stelassa ha detto...

Azzeccare i congiuntivi sarebbe un buon punto di partenza :)

Giancarlo Parisi ha detto...

@Stelassa
probabilmente Laura ha scritto di fretta o comunque non si è resa conto dell'errore. Evitiamo di punzecchiarci su questi dettagli visto che il discorso è abbastanza ampio e difficile.

@ Laura
La differenza non consiste solo nel fatto che questa volta sono andato più sul generale. La mia è una riflessione più profonda, sicuramente pedante per certi versi, sul campo che mi interessa.
E se, ad esempio, in medicina se la tirano medici mediocri, questi almeno hanno dovuto prendere una laurea per tirarsela. In fotografia se la tirano dopo un mese di reflex e riviste.

Ora non vorrei abbassare eccessivamente il livello della mia riflessione, nella quale ho toccato argomenti molto impegnativi del semplice "sentirsi qualcuno" senza avere dove appoggiarsi. In particolare mi sono interrogato sul perchè ciò accada in fotografia, poco interessandomi se e come accada altrove.

Stelassa ha detto...
Questo commento è stato eliminato dall'autore.
Stelassa ha detto...

Mi viene difficile pensare che siano "sviste", dal momento che entrambi i commenti contengono errori nei congiuntivi. Non so se tu abbia fatto caso anche al fatto che molte parole che dovrebbero essere accentate non lo siano. Il mio non è un punzecchiamento gratuito: non conosco Laura e non è certo mia intenzione provocarla. Ammetto, come già dichiarato anche su queste pagine, di dare importanza all'ortografia e alla sintassi e credo non ci sia nulla di condannabile, considerato che questi "dettagli" dovremmo esserceli tutti messi alle spalle su per giù alle elementari. Il fatto è che come tu lamenti carenza nel lessico fotografico, allo stesso modo io in questo caso lamento l'approssimazione con cui troppo spesso ci si approccia. Ti assicuro che la mia nota è tutt'altro che gratuita e pedante. E' solo un'altra faccia della stessa medaglia a riguardo di quanto senti tu stesso: voglia di cambiare qualcosa che si osserva troppo spesso, semplicemente facendo notare un errore - e col sorriso. Per citarti, "forse leggere queste righe potrebbe "recuperare" qualcuno. Così, con un pò di presunzione anche..." :)

Giancarlo Parisi ha detto...

Non posso darti tutti i torti Stelassa... Solo vorrei evitare che la discussione trascendesse a causa di incomprensioni.
Ho scritto in quel modo perchè conosco abbastanza Laura per pensare che si tratti di errori; errori che, come tali, andrebbero indubbiamente evitati non foss'altro che per facilitare una comprensione già di per sè difficoltosa per via della freddezza della comunicazione virtuale.
Attendiamo la risposta di Laura :-)

laura b. ha detto...

Ho fatto e farò molti errori grammaticali, imparando dalle critiche se costruttive e ringraziando pure se fatte con intelligenza.
Ma quanto meno non mi sono mai professata una cosa che non sono...
conosco abbastanza bene i miei limiti ma questo non mi trattiene certo dal fatto di intervenire in un post che non era di grammatica ma di fototgrafia.
Prendo atto del mio errore e se posso mi correggerò in futuro.
:-)

laura b. ha detto...

Ah...un dettaglio per stelassa.....io ho frequentato le scuole dell'obbligo all'estero in una lingua straniera.
Non ho alcuna preparazione da scuola elementare italiana, ne delle medie semplicemente perchè non vivevo in Italia.

Ho aggiunto un dettaglio, ma avrei potuto evitare non sono tenuta a dire su un blog la mia vita ne tantomeno a giustificarmi.

Avrei potuto/dovuto come consigliato a Giancarlo andare oltre il tuo commento per non alimentare alcuna polemica .

Una buonanotte !

Stelassa ha detto...

La cosa buffa è che anche io ho fatto le elementari in Africa e in inglese :)
Ad ogni modo chiedo venia, buona giornata!

Giancarlo Parisi ha detto...

Bene, sono contento del chiarimento. D'altra parte questo è uno spazio relativamente libero dove chiunque può
intervenire, purchè lo faccia civilmente. In tal senso, sebbene ci sia un implicito invito ad essere il più
chiari possibile (il che implica anche un buon uso della lingua italiana) nessuno sarà mai additato dal
sottoscritto per uno, dieci, o cento errori di sintassi.

Tornando al discorso ci tengo a precisare, e ci tornerò in futuro cn più calma perchè ho dei concetti da palesare,
che le mie considerazioni sono piuttosto filosofiche. Il che può apparire a priori tedioso e probabilmente in una
certa misura lo è, ma ciò non toglie che vado molto al di là del semplice "paliatone" a chi fa fotografie da
strapazzo.

La mia è una ricerca sulla posizione del "fotografo" all'interno della macchina "fotografia" e ogni tentativo
di ridurre il campo di indagine è, a priori, sbagliato...

Rosalba Crosilla ha detto...

Letto con il solito interesse il tuo post e, da stra-pivella della fotografia, non posso non essere d'accordo con te. ... Ma la presupponenza, l'arroganza, la convinzione d'avere la verità in tasca non è un atteggiamento circoscritto ai fotografi.

E' così l'uomo (volutamente con l'iniziale minuscola ;-) ).

Secondo me l'importante è sottolinearlo, buttar sassi in piccionaia sperando che facciano starnazzare quanti più colombi possibile, perchè solo così si può instillare il DUBBIO!

Ed ora continuo a leggerti ;-)))

Giancarlo Parisi ha detto...

Rosalba, ti ringrazio per il tempo che ti sei presa per leggermi, mi fa molto piacere.
Concordo con te sulla necessità di insinuare il dubbio, l'unico elemento che può portare davvero al miglioramento.

Anonimo ha detto...

Caro Giancarlo, prima di tutto ammetto di non aver letto il tuo primo link a questo post....perché scorrendo il tuo intervento...mi è sembrato di comprendere subito il nocciolo del tuo lungo ed articolato discorso...

...e come darti torto?!
... considerando anche i riferimenti alle "relazioni umane" cui accenni...
Personalmente penso che il problema non risiede tanto in una mancanza di "lessico fotografico" o di testi utilissimi per conoscere e riflettere sulla fotografia...al di là del suo mero aspetto tecnico...fondamentale, certo, ma non sufficiente a fare di uno che scatta fotografie un vero fotografo...
...il vero problema è proprio il mercato della fotografia che ha bisogno per vendere di istillare nei suoi clienti una "pseudo-conoscenza" operativa che li porti a comprare e consumare sempre più un prodotto culturale come se fosse un cheeseburger...o qualunque altro prodotto...

...la creatività, la sensibilità e la cultura...non si comprano al supermercato...
...sono aspetti che vanno coltivati, cercati, sviluppati, confrontati, abbandonati e poi ripresi, modificati, digeriti e rielaborati.....
...altro che non sapere accettare le critiche!!!
...hai tutta la mia stima e comprensione...per tutto...:-))
Laura Fogazza

Giancarlo Parisi ha detto...

"Si parla spesso di fotografi [...] ma parlare di Fotografia è cosa assai meno comune. E si capisce: un pò perchè non è ben chiaro, a quel punto, di che cosa si stia effettivamente parlando; un pò perchè non tutti amano parlare in generale se il soggetto è reale, pratico: una roba che o la fai, o non la fai; e, se la fai, o la fai bene, oppure: aria!"

Così Augusto Pieroni inizia una sua recensione a "Lezione di Fotografia" di Stephen Shore, sul numero di marzo di Foto Cult all'ultima pagina. Ecco, io credo che ci sia molta verità in quelle parole, forse tutta la verità. Chiaro, poi Pieroni prosegue dicendo che, sebbene il trend sia quello, sarebbe bello che un autore, oltre a sapere tutto di tecnica, sapesse anche contestualizzare il suo (o altro) lavoro nella storia della fotografia e della società... Ma tant'è...