lunedì 24 gennaio 2011

Scompare il "prodotto" in Fotografia

Copyright Silvio Lucchini - www.silviolucchini.com

Le considerazioni pubblicate in questo articolo, datate 24/01/2011, sono state rimosse in quanto divenute parte integrante di un testo che spero a breve di pubblicare.
Il titolo, salvo modifiche ulteriori, sarà il seguente:

"Processo alle fotografie - Reltà e post-produzione, una battaglia senza fine"

Seguiranno aggiornamenti.

11 commenti:

Antonio Caggese ha detto...

Io ho letto molto bene la presentazione di Iovine che accompagnava il lavoro di Lucchini, e questa è conclusione: “Il risultato è quindi una nuova immagine generata da dati tecnici predeterminati, ma allo stesso tempo composta dai dati stessi. L’origine dell’immagine si fonde quindi con i suoi dati costitutivi per divenire una nuova immagine che svela la sua natura più intima, ma allo stesso tempo dichiara la volontà di rompere il limite autoimposto della tecnica come unico valore e parametro interpretativo dell’immagine, per restituire alla progettualità a alla comunicazione il ruolo principale che loro competerebbe”.

La cosa che mi ha fatto sorridere è che questo giudizio (che per un mio limite mi sembra oscillare tra il banale e l’incomprensibile) accompagna delle foto che sono in parte dozzinali, ed in parte sconcertanti… di foto come quella a pagina 12 ne ho scattate tante, tipicamente quando, uscendo da una chiesa all’interno della quale ho impostato la sensibilità a ISO 1600, scattavo in pieno giorno non accorgendomi che stavo bruciando il fotogramma… con la differenza che io quelle fotografie partorite da un evidente errore le cancello sul posto, perché farle varcare la porta di casa mia sarebbe un’offesa alla memoria di Daguerre.

Insomma, la mia evidente incapacità di comprensione mi fa apparire tutto questo come un paradosso: cosa mi aspetto di trovare su una rivista come “Il Fotografo” che ospita opere di rilievo e conduce da sempre una crociata contro i dati di scatto? Appunto, delle foto con un minimo sindacale di qualità e (vade retro!) senza nessun cenno ai dati di scatto… anche perché, a quanto pare, sono l’unico che in alcuni casi ne riconosca l’utilità.

Invece… basta prendere delle foto oggettivamente brutte, corredarle dei dati exif e… diventano un capolavoro degno della copertina e di svariate pagine della rivista! :-)

Cioè… se i dati di scatto li mette un lettore a corredo di una foto discreta viene messo alla gogna, se invece un fotografo di professione (credo) li ostenta in abbinamento a foto orribili… guadagna la copertina!

Se non è un controsenso questo…

Mah… sono sempre consapevole che tutto ciò accada per un mio limite… eppure mi impegno, compro comunque “Il Fotografo”, lo leggo da cima a fondo, a volte approfondisco… ma non riesco a capire… e mi rendo conto che la mia mente primordiale si ferma alle foto attraenti di per sé… purtroppo non ce la faccio ad andare oltre, se una foto ha bisogno di così tante spiegazioni ha fallito il suo scopo… è proprio questa la fotografia che si parla addosso, per me.

Bye :-)

Giancarlo Parisi ha detto...

Antonio, io continuo a capire perfettamente la tua posizione, e ritengo che due possono essere i motivi per i quali continui a seguire queste discussioni (e a comprare la rivista): o sei aperto a nuove vedute e "aspetti" qualcuno che "riesca" a farti cambiare idea (sono sicuro che capisci le virgolette), oppure non è così e continui a fare avanti la tua (rispettabile quanto opinabile) posizione.

Il tuo modo di vedere il lavoro di Lucchini è senz'altro ragionevole in una certa misura, legata però, consentimelo, alla visione più semplicistica di quel lavoro.

Non sono "belle" fotografie, nel senso più tradizionale del termine, questo è certo. Ma prova un attimo a ragionare: l'autore ha voluto indagare un certo tema, il suo lavoro non è estetico ma sociale, psicologico per certi versi, uno studio sulle ragioni di un fenomeno da lui riscontrato, al quale studio segue di pari passo una provocazione (almeno un tentativo di provocazione). Ora, se quelle foto fossero state "belle" nel modo da te (e da altri) inteso, che razza di lavoro sarebbe stato?

Che senso avrebbe allegare i dati di scatto di foto "meravogliose" se l'intento è provocare? Sarebbe stato un'emulazione di quelle riviste che allegano sempre i dati di scatto.

Insomma, io leggo quel lavoro come una provocazione di questo tipo: "volevi i dati di scatto? Eccoteli" E ora che fai? Avevi bisogno dei dati di scatto per sapere che la foto era bruciata? Io non credo, ma così, forse, ora capirai che oltre i dati di scatto si può guardare altro in una fotografia".

Antonio Caggese ha detto...

Giancarlo, a parte il fatto che parlo più spesso con te che con mia moglie :-), penso che la nostra incolmabile differenza nell’intendere la fotografia sia racchiusa nella tua seguente frase: “il suo lavoro non è estetico ma sociale, psicologico”. Ecco dov’è il mio limite: mentre riesco ad associare l’aggettivo “estetico” al sostantivo “fotografia”, non riesco invece a farlo per gli aggettivi “sociale” e “psicologico”.

Se in un articolo incontro le parole “fotografia estetica” ci scivolo sopra alla grande, se invece mi capitano le parole “fotografia sociale” oppure “fotografia psicologica” ci inciampo sopra, e ruzzolo rovinosamente per il resto dell’articolo. Ma niente paura, non mi sconvolgo più di tanto… in fondo, le considero democraticamente delle diverse branche della fotografia, così come nella musica si passa da Pavarotti a Lady Gaga, da Hendrix a Mario Merola, da Sinatra a Pupo.

E comunque parliamo di artisti con qualità canore che almeno raggiungono il minimo sindacale, ovvero sono intonati. Lo stesso minimo sindacale che non raggiungono le foto di Lucchini, e che non riesco a vedere su una rivista di fotografia. Se io suonassi malamente in pubblico con la mia chitarra, verrei seppellito da tonnellate di ortaggi, il mio manager verrebbe licenziato ed il mio nome messo all’indice di tutti i locali. E credo che non avrei speranze se cercassi di spiegare che la mia musica è “sociale” oppure “psicologica” e che la mia era una “provocazione”. A mio avviso, non si può prendere il “brutto”, vestirlo a festa con un concetto, incipriargli il naso con una provocazione e passarlo per arte…

Per come sono fatto, non credo che io possa immaginare di cambiare radicalmente il punto di vista, però non ne rifiuto a priori l’esistenza e la dignità di uno diverso dal mio… alla fine, penso che almeno una qualità mi debba essere riconosciuta, ovvero quella di continuare comunque (con curiosità) a comprare “Il Fotografo” e ad interessarmi alle fantasiose digressioni del suo direttore, così come, da Nikonista convinto, leggo con grande curiosità i test di una nuova reflex di Canon che non comprerò mai.
Bye :-)

Giancarlo Parisi ha detto...

Fino a Siatra e pupo il tuo intervento è coerente e condivisibile. E' quando tiri fuori il concetto di "minimo sindacale" che mi perdo.

Il fatto è che il concetto di minimo sindacale è impalpabile, e difficilmente (anzi impossibilmente) può essere preso a parametro oggettivo del pubblicabile o meno.

E non voglio dilungarmi in noiose esemplificazioni perchè non è mia intenzione passare per quello che impone per forza qualcosa.

Per il resto è tutto ok... :-)

Silvio Lucchini ha detto...

Un ringraziamento a Giancarlo per il post dedicato al mio lavoro e per la discussione aperta, ringrazio anche Caggese per le osservazioni fatte e per avermi dato l'occasione di presentare la mia ricerca al direttore Sandro Iovine.
Purtroppo non posso dedicare molto tempo come vorrei alle discussioni sui blog per gli impegni di lavoro, infatti non essendo un professionista (prima precisazione) devo gestire bene il mio tempo libero e preferisco impiegarlo nella creatività che nel dare spiegazioni o cercare di far capire i mei progetti.
Ribadisco Exif Time (Dello stato della fotografia amatoriale in Italia) è, in primis, una provocazione e da quello che leggo funziona. Essendo una ricerca che parte da un concetto, ha poco senso leggerla in chiave puramente estetica, perchè va a criticare proprio questa attitudine fotografica che ha dei limiti (essendo solo una delle tante possibili interpretazioni dell'immagine). L'arte contemporanea ha superato l'aspetto puramente estetico da molto tempo, le tele dello Spazialismo di Lucio Fontana certo non sono mai state definite dei bei quadri, prevale l'idea, il concetto. La fotografia è un mezzo espressivo ed è importante usarlo in tutte le sue forme possibili, senza porsi dei limiti precostituiti, dogmi o cliché. Come dice la fotografa e artista Martha Rosler, in risposta alla classica frase del pubblico di fronte ad un'opera d'arte contemporanea, "questo potrei farlo anche io!", risponde "please do it" ("per favore fallo!").
Anche per la musica il discorso è relativo, "Rain Dogs" uno dei più importanti LP di Tom Waits vede la collaborazione con il chitarrista Marc Ribot ricordato in particolare per il suo stile "scordato" caratterizzato dall'utilizzo di una chitarra volutamente non intonata.
Per me l'arte non è solo seguire dei binari precostituiti ma provare a deragliare in maniera cosciente.
Saluti!

Giancarlo Parisi ha detto...

Ti ringrazio, Silvio, per la partecipazione con questo interessante intervento che, in ottima sintesi, esprime molti concetti.

Qui non si vuole imporre a nessuno di deragliare, né con coscienza né, tantomeno, senza. Ciò che si vuole (che io vorrei) è che si comprendesse che esiste questa possibilità. Se lo si comprendesse davvero allora non sarebbe così facile sorridere della pubblicazione del tuo lavoro, ma si potrebbe riflettere.

Chiaro che mi riferisco a quanto detto in precedenza da Antonio, ma senza ironia, quanto piuttosto con il più sano degli spiriti costruttivi.

Antonio Caggese ha detto...

Anche io non avrei molto tempo da dedicare alle disquisizioni sui blog, anche se mi piacerebbe molto.

Per Silvio: innanzitutto premetto che ho visionato il tuo sito apprezzando molto gli altri tuoi lavori, quindi le mie critiche (per quello che valgono) sono rivolte esclusivamente al progetto “Exif Time”. Inoltre, la tua citazione di Fontana cade proprio “a fagiolo”! :-) Sì, perché è proprio quel modo di intendere l’arte che a me non piace. Mi emoziona molto di più un quadro della “Roma sparita” venduto sulle bancarelle di Piazza Navona che un quadro di Fontana, sempre per il mio limite di non riuscire a concepire un’opera d’arte visiva che ha bisogno di concetti per esser apprezzata. Fortunatamente non possiamo controllare certe emozioni, a causa delle quali quando vedo una foto scattata sugli scogli irlandesi mi si mozza il fiato, se vedo invece il servizio “Exif Time” oppure uno dei “Concetti Spaziali” di Fontana mi viene da ridere… ma senza offesa, se qualcuno gode delle tue opere (o di quelle di Fontana) con la stessa intensità di come godo io di fronte ai paesaggi marini… va benissimo, sono contento per entrambi, evviva! :-)

Il tuo richiamo a Waits ed il suo chitarrista è più che calzante, anche se parliamo della classica eccezione che conferma la regola: non è il mio genere, ma a volte l’ho ascoltato, e devo dire che può dare l’impressione di trovarsi di fronte ad un ubriaco stonato che canta con una chitarra scordata, ma parliamo di un caso unico al mondo tra quelli che ha avuto un discreto successo discografico. E’ un’arte per pochi, come le opere di Fontana, che possono apprezzare solo un ristretto numero di persone a cui piace anche il distinguersi dalla massa. In fondo, quando Pavarotti steccava succedeva una tragedia!

Per Giancarlo: la tua speranza è legittima, ma con me hai perso in partenza! :-) anche perché oltre ad ammettere di non riuscire a comprendere certi ragionamenti c’è anche un rifiuto categorico a dover leggere un testo per capire una fotografia, e questo è un ostacolo ben più insormontabile.

E concludo dicendo che a volte le scelte editoriali della rivista “Il Fotografo” mi sembrano dettate dal desiderio (legittimo) di esplorare nuove frontiere perché annoiati dalle “solite” fotografie, arrivando a proporre delle opere che sono però ai limiti dell’avanguardia fine a se stessa. Nulla da eccepire se la rivista riesce a campare dignitosamente percorrendo questa strada, in fondo viene pubblicata dalla stessa casa editrice che pubblica una rivista ai suoi antipodi come “Digital Camera”.

Bye

Giancarlo Parisi ha detto...

Capisco Antonio, infatti pur riferendomi al tuo intervento la mia considerazione era generale.

In ogni caso, qualora non fosse chiaro, io non perseguo il "bello a tutti i costi", ma il "dire brutto consapevolmente".

Nè Fontana nè Lucchini devono piacere per forza, ma ridere a priori può essere (per me lo è) limitante...

TMax ha detto...

condivido totalmente l'ultimo passaggio del post di Giancarlo
"Nè Fontana nè Lucchini devono piacere per forza, ma ridere a priori può essere (per me lo è) limitante..."

bisognerebbe riflettere molto...

personalmente apprezzo il lavoro di Lucchini, non guardo alle foto presentate per trarne 'gaudio estetico' per quello guardo altrove...
le guardo insieme come progetto, come provocazione, provocazione che condivido...

personalmente sono stufo di parlare con fotoamatori che non fanno altro che parlare di macchine, obiettivi e da quando esiste il digitale tutti a sbrodolare gli 'inutili' dati Efix... dati utili solo per l'autore ma che non dicono nulla a chi osserva una foto.

Lo sosteneva negli anni 79 forse prima Andreas Feininger , facendo notare che non sapendo nulla del tipo e della qualità della luce presente al momento dello scatto era pressochè inutile sapere iso, diaframmi tempi..ecc...

col digitale ancora peggio, visto che appena si rimappano i pixel di un immagine si perde completamente la relazione con la reale qualità e quantità di luce che ha colpito il sensore...

Il fotoamatore dovrebbe iniziare a fare uno sforzo per imparare a guardare, osservare leggere le foto
come fa ad esempio Dyrer nel suo splendido libro l'infinito istante;
e a smetterla di dedicarsi esclusivamente agli aspetti tecnici...

..parola di fotoamatore....

Giancarlo Parisi ha detto...

Grazie per il tuo interessante intervento Massimo.
Capisco la tua posizione, anche se piuttosto totalitaria :-)
D'altra parte è vero che ai mali estremi, estremi rimedi... :-)

francesco peluso ha detto...

Queste querelle mi fanno sorridere, perchè nonostante siano storie vecchie continuiamo ad azzuffarci.
Durante il periodo di Weston i criteri per valutare una fotografia erano nitidezza, precisione di messa a fuoco, corretta esposizione, perfezione qualitativa nella stampa.
Tutto il resto era da condannare, come la querelle con Atget bocciato dallo stesso Weston perchè definito "non un buon tecnico".
Ma da allora sono passati 50-60-70 anni e lo stile purista basato sulla perfezione della bellezza è passato in secondo piano.
E Atget si è preso la sua rivincita.
Ci si è accorto che è il contenuto, il concetto che riesce ad esprimere un'immagine a farla diventare immortale.
Non l'aspetto esteriore.
Perchè è strano a dire, ma la bellezza (e la perfezione) stanca.
mentre le imperfezioni, le asimmetrie attirano, donano interesse alle cose.
Anche alle cose più semplici e banali.
E che non sempre una fotografia di una cosa bella è una bella fotografia.
Anche se correttamente esposta.
Siamo esseri strani.