martedì 11 gennaio 2011

Il (un) punto sulla fotografia nell'immagine che di essa danno le riviste di settore



 Vorrei iniziare questo post dalle due immagini che riporto a lato, raffiguranti rispettivamente le pagine 44 e 45 del numero 223 de "Il Fotografo". La pagina 44 in particolare è interamente dedicata alla riproduzione di una epistola di un lettore, mentre la seconda, oltre alla conclusione di quella epistola contiene la risposta del Direttore della rivista, Sandro Iovine. Fin qui nulla di straordinario, ma la lettura dei pensieri di questo lettore, che potete fare vostra ingrandendo l'immagine e leggendo o scaricando il jpeg, ha smosso alcune considerazioni che, sopite, già albergano in me da parecchio tempo.

Prima di scendere nella disamina di queste considerazioni ritengo opportuno spendere qualche parola in precisazioni. Chi leggesse questo mio intervento potrebbe infatti pensare che si tratti di una manifestazione di lecchinaggio gratuito alla propria rivista preferita, nonchè una presa di posizione in difesa del Direttore, magari nella speranza di vedere ricambiato il favore con qualche pubblicazione. Ebbene, non posso e non voglio nascondere il fatto di essere un assiduo lettore de "Il Fotografo", nè voglio nascondere, bensì intendo sottolineare, che ritengo questa rivista una delle migliori riviste di fotografia attualmente reperibili in edicola, ma ciò non ha nulla a che vedere con le ragioni di queste righe, che passo a trattare.

La lettera del Sig. Caggese mi ha fatto riflettere, per l'ennesima volta, sul modo in cui viene intesa la fotografia al giorno d'oggi, su come viene vissuta dalla maggior parte delle persone, su come è cambiata e sul castello di presunzioni che su di essa si è costruito. In particolare mi fa specie il fatto, largamente diffuso e quindi non direttamente collegato alla lettera, che si ritenga sufficiente un certo numero di decenni trascorsi a "fare fotografie" per ritenersi all'altezza, non tanto di esprimere considerazioni personali (che a nessuno possono essere negate e non devono esserlo), quanto piuttosto di criticare le scelte redazionali, operate da un team di professionisti che, facilmente, potrebbero saperne molto più di noi in merito. Certo, non è affatto detto che ciò accada, come dimostra la proliferazione di riviste dal contenuto molto discutibile, quindi andiamo oltre e prendiamo per buona questa critica.



Qual'è allora il punto, la considerazione che sorge in me a seguito di tale lettura? La prima parola che mi viene in mente è superficialità, termine abusato, violentato... Spiego meglio.
La prima parte della lettera di Caggese contiene una prima critica alla rivista; in particolare si criticano le decisioni in merito alle immagini pubblicate, alcune delle quali sarebbero assolutamente prive di qualsiasi attrattiva, di altre invece non si capirebbe neanche cosa rappresentino. L'autore della lettera porta come esempio le immagini pubblicate nel numero precedente (il n. 222), specificando persino la pagina.
Ora, prendendo a caso una di queste immagini e visualizzandola così, senza didascalia, senza altre informazioni, probabilmente risulterebbe una foto un pò povera, senza "punctum" e con pochissimo "studium" (per citare Barthes), la riporto sotto

Val d'Aosta, 1997. © Vittore Fossati

A dire il vero su questa foto potrebbe dirsi qualcosa anche senza informazioni sulle circostanze e i motivi della ripresa e anche al di fuori da qualunque contesto, non foss'altro che per la puntigliosa composizione che denota; prendiamola in ogni caso come una foto poco interessante.
Andando a vedere il numero 222, si scopre che questa e le altre foto additate dal Caggese fanno parte di due libri di due noti fotografi italiani: Viaggio in un paesaggio terrestre - Vittore Fossati, Giorgio Messori; Poi - /Duemila_Duemilanove/ - Gianni Leone.
Allora mi chiedo, concordando con quanto risposto dal direttore Iovine, come si può definire una o più fotografie prive d'attrattiva senza aver letto il libro? Ma anche soltanto senza aver letto l'articolo relativo ai due libri, cosa che si evince da quanto detto dal Caggese (perchè se avesse letto l'articolo avrebbe, quantomeno, capito gli intenti dell'autore).

Ma lo spunto che mi viene fornito dalla lettera non è tanto la singola posizione di un lettore di fronte ad alcune immagini, e neanche la difesa a questa o a quella rivista, quanto piuttosto l'immagine della fotografia nelle riviste e per via di esse! Ovvero, in poche parole, come viene strumentalizzata la fotografia, come pratica tecnica ed espressiva, dalle riviste di settore? Quali sono i motivi che dettano le scelte redazionali in merito alla pubblicazione di alcune immagini invece che di altre? Cosa è una foto attraente?

La maggior parte delle riviste di fotografia ha un target comune, e nel cercare di definirlo mi viene in mente un passaggio del libretto di Ando Gilardi "Meglio ladro che fotografo - Tutto ciò che avreste voluto sapere sulla fotografia e che avrete preferito non sapere". In buona sostanza, la maggior parte delle riviste oggi propone immagini che devono suscitare nel lettore la convinzione di poterle riprodurre, purchè si possieda una certa attrezzatura (puntualmente riprodotta nei "dati di scatto"), creando così una situazione di stallo totale della comunicazione a tutto vantaggio del godimento generato dall'acquisto e dal successivo possesso di determinate apparecchiature. Le stesse apparecchiature sono poi oggetto di altrettante "recensioni" che, in linea di massima, dicono ben poco sulla reale valenza dell'apparecchio, riducendosi ad un susseguirsi di frasi fatte che rimbombano nella testa del lettore/potenziale acquirente come un martello: se mi compri farai fotografie fantastiche e sarai pubblicato su questa rivista!
In tal senso è illuminante questo spot degli anni 80, Watch the Bird(ie)!

Ecco allora che non appena una rivista si discosta da questo target, si genera confusione nei lettori (per fortuna non tutti): ma dove sono le "belle" foto? Perchè non ci sono recensioni sugli apparecchi? Perchè non servono i dati di scatto? Ma perchè devo per forza raccontare con le mie fotografie?
Motivare queste aspettative con la sola voglia di imparare è quantomai riduttivo. Imparare a fare cosa poi? La parte tecnica della fotografia si trova anche sul manuale della propria reflex, perchè comprare ogni mese una rivista?
Ciò che mi turba, in definitiva, è sì la posizione superficiale (appunto) di una buona fetta di fotoamatori, ma non sarebbe poi così grave se a questa non si aggiungesse la presunzione di sapere cos'è la fotografia e di sapere cosa dev'esserci dentro una rivista come si deve! E la lettera del Sig. Caggese non è che una delle tante che ho visto riproporsi sulle pagine de Il Fotografo, con una frequenza proporzionale a quella con cui detta rivista pubblica "foto prive di attrattiva e/o incomprensibili".

54 commenti:

meki ha detto...

premesso che mi considero un pessimo fotoamatore con tantissimo da imparare e da poco avvicinato alla rivista su suggerimento di un'amica rispetto le idee del direttore in quanto scelta editoriale. Posso però permettermi che mi piace un po meno il tono talvota "convinto" nel tono della risposta; il sig Caggese è andato un pò oltre le righe nel giudicare le foto citate ma anche il direttore non ha dimostrato un certo "senso zen" rincarando la dose. Da mezzo musicista sono convinto che per suonare steve vai oltre al manico (e tanto) occorra un minimo di attrezzatura similare a quella del professionista per riprodurre quel suono perchè con una gibson e un marshall siamo bel lontani, ad esempio, da quelle sonorità. Il contrario è altrettanto vero, se ad angus young do in mano un'ibanez non credo che ascoltandolo si pensi e si riconosca il suono degli acdc, ad esempio.
Al di la di questo, mi piace nella mia ignoranza, considerare una foto allo stesso piano di un quadro dove mi sono indicate ad esempio le misure, il tipo di tecnica ed il tipo di supporto.

apprezzo la rivista per le coraggiose scelte e per continuare ad appassionarmi ad ogni numero

Anonimo ha detto...

Meki il Direttore non sarà zen, ma a mio avviso qui si continua a fingere di non capire cosa stava dicendo: io suonerei come Steve Vai con la sua chitarra e con il suo ampli? Con le tele, i materiali e i pennelli di Monet sarei in grado anche solo di avvicinarmi alla struggente bellezza delle sue ninfee? Con la Laika e tutti i dati tecnici di Bresson racconterei il mondo come lui? Io no, ho almeno il pudore di ammetterlo, i dati che spesso corredano le foto non si limitano a recitare "Olio su tela 50x70", sono lunghi elenchi di un linguaggio per iniziati che rappresentano una fredda e svilente descrizione di un'immagine, che nasconde un mistero, lo sguardo di uomo. Mi sono sbagliata: il Direttore è Zen!
Claudia M.

Giancarlo Parisi ha detto...

Innanzitutto grazie a voi per i vostri interventi su questo nascente spazio virtuale. Tornando all'oggetto della discussione, vorrei partire dalla metafora proposta dal Sig. Mauro/Meki, quando dice di gradire di voler considerare la fotografia sullo stesso piano di un quadro. Vorrei chiedere, perché? Ci siamo mai chiesti perché spesso ci capita di fare questo paragone? Ciò che l'immagine fotografica stampata (e solo quella) ha in comune con la tela dipinta risiede unicamente nella materialità di qualcosa solo genericamente indicabile come immagine. Solo, in poche parole, il fatto di essere un'immagine su un supporto materiale (cartaceo), perchè per il resto la differenza è abissale, e tale differenza a dettato le infinite diatribe sul fatto che la fotografia possa o meno essere considerata arte; in tal sarebbe interessante leggere Walter Benjamin: "L'opera d'arte nell'era della sua riproducibilità tecnica".
In ogni caso il paradosso del voler considerare la fotografia come un quadro, che come tale dovrebbe recare seco informazioni quali le misure, il tipo di tecnica ed il tipo di supporto, risiede nel fatto che tali informazioni sono spessissimo pubblicate ne "Il Fotografo". Quasi sempre, nella didascalia alle immagini, è indicato il tipo di stampa (lambda, inkjet, ai sali d'argento,), il supporto (il tipo di carta, pannello, tela ecc.), le dimensioni e la tecnica (fotografia digitale, all'argento, polaroid, o altre tecniche manuali particolari, vedi ad es. Bruno Taddei, Graffi dell'anima). Il fatto di vedere allegati i dati exif (quindi la fotocamera, l'obiettivo e in genere i dati di scatto) è cosa completamente diversa e molto più facilmente fine a se stessa, la loro mera conoscenza non porta a nulla se non c'è ben altra competenza dietro. Facciamo l'esempio della macrofotografia degli insetti: il fatto di sapere il tempo di scatto, l'apertura del diaframma, l'obiettivo utilizzato, il valore iso e la fotocamera sono senz'altro valori utili qualora si vogliano ottenere risultati simili; ma non fotograferò un fico secco se non so DOVE andare a trovare gli insetti, a che ora (in genere al mattino presto), come ottenere la giusta luce, come ottenere uno sfondo perfettamente sfocato e di un colore specifico (si usano dei cartoncini colorati addirittura), e via discorrendo.

SEGUE...

Giancarlo Parisi ha detto...

"Va bene" mi si dirà, "ma perchè non metterli ugualmente?". Questo dipende dalle scelte editoriali! "Il Fotografo" ha scelto di seguire una linea, senz'altro dura, ma a mio avviso necessaria per far passare un concetto molto semplice: l'importanza del manico.
Sicuramente per suonare perfettamente come Steve Vai avrò bisogno della sua chitarra, per ottenere lo stesso identico suono, ma questo sarà solo l'ultimo dei passaggi da fare, dopo una vita di studi e applicazioni musicali che, paradossalmente, potranno anche portarmi a voler ottenere dell'altro da me stesso e dalla mia dimensione artistica.

Lo stato attuale dei fatti, e torniamo al vero problema, è che le riviste pubblicano i dati di scatto non perchè pensano che siano davvero utili al lettore (o forse lo pensano ma non è né l'unico né il più importante dei motivi), ma perchè quella indicazione, reiterata e martellante, genera il desiderio dell'acquisto, l'acquisto determina vendite del produttore di quell'attrezzatura e il produttore pagherà la rivista per ottenere pubblicità. Così, in parole molto semplici!

Il Fotografo ha scelto di andare alla radice del problema con una linea editoriale totalmente incentrata sui CONTENUTI dell'immagine, sul MESSAGGIO e su CIO' CHE SI PUO' RACCONTARE attraverso il medium della fotografia. Che si può e sicuramente non si deve per forza raccontare, certamente, ma questo fa parte del modo in cui si decide di vivere la fotografia; chi compra Il Fotografo può cambiare opinione oppure decidere di cambiare rivista, ma trovo fuori luogo muovere delle critiche ad un giornale che, alla fine dei conti, gli chiederebbero di diventare uguale agli altri.

Antonio Caggese ha detto...

Ciao a tutti ed a Giancarlo in particolare, sono Antonio Caggese… ovvero l’autore della missiva pubblicata sull’ultimo numero de “Il Fotografo”. Innanzitutto, nessun problema!
Anzi, sono contento che ci sia l’opportunità di discutere democraticamente di un argomento e, finché i toni non si scaldano eccessivamente, sono ancor più contento proprio del fatto che ci si possa confrontare.
Premetto che ho inviato una breve risposta alle considerazioni di Sandro Iovine, anche perché non voglio rubare altro spazio della rivista oltre a quello che eccezionalmente che mi è stato concesso.
Provo quindi a riassumere il contenuto della mia risposta.
L’attrezzatura: sono un chitarrista elettrico assolutamente incapace, ma allo stesso tempo non sono così ingenuo nel credere che con la stessa chitarra di Steve Vai riuscirei a suonare come lui. So benissimo che l’attrezzatura conta fino ad un certo punto, certo… ma comunque (appunto) conta. Perché di sicuro (l’ho visto varie volte in concerto) Steve Vai usa una selva di chitarre e di strumentazioni sofisticatissime (oltre che costosissime), senza le quali il suo suono non sarebbe più lo stesso. Quindi, se io aspirassi a suonare come lui, di sicuro avere la sua chitarra sarebbe un buon inizio, sulla base del quale dovrei però studiare per anni interi prima di tentare di suonare con una tecnica simile. Altrimenti non si spiegherebbe come mai nessuno dei più grandi fotografi internazionali scatti con una Nikon D50. Chissà perché, hanno tutti (per esempio) una Nikon D3 oppure una Canon 1D. Quindi l’attrezzatura conta, eccome se conta! Nel senso che è necessaria ma non sufficiente… non ho mai detto il contrario! Ed è un concetto talmente banale ed universalmente accettato che io non ho mai sentito nessuno affermare il contrario, quindi mi sembra che sia solo un malinteso che si può tranquillamente chiudere qui.
Riviste: non sono d’accordo sull’intento assolutamente subliminale delle riviste che avrebbero unicamente lo scopo di spingere il lettore ad acquisti compulsivi sostanzialmente inutili. Da sempre, gli appassionati di un genere sono anche feticisti dell’attrezzatura, è innegabile nasconderlo… sono i nostri giocattoli e se possiamo permetterceli ben vengano. Le riviste sono (in genere) fondate da appassionati del settore, e si rivolgono a lettori altrettanto appassionati che sono interessati a tutto quello che ruota intorno al loro mondo. Per una rivista di fotografia, sarebbe impossibile ignorare l’uscita di una Nikon D3x, a tal punto che anche una rivista integralista come “Il Fotografo” ne parla effettuandone un test, semplicemente perché appartiene a quelle macchine talmente rivoluzionarie che permette (adesso) di fare foto che prima non si potevano fare, ad una risoluzione ed una sensibilità prima impensabili, e questo lo devono sapere tutti i fotografi, dall’amatore al professionista, altrimenti a che servirebbe una rivista di fotografia? Poi si possono dedicare decine di pagine alle foto astratte di un artista geniale, ma non si può far finta che vengano vendute macchine che fotografano quasi al buio. E nel mio piccolo posso dire che gli acquisti inutili non li fanno gli appassionati di fotografia che leggono le riviste del settore, ma proprio quelli che non le leggono e passano dalla compatta alla reflex pensando di produrre magicamente delle foto superlative… scoprendo con tristezza che le foto venivano meglio con la compattona che pompava nativamente le JPEG.

SEGUE

Antonio Caggese ha detto...

Dati di scatto: su questo punto mi permetto di insistere. Per me sono utilissimi, anzi… fondamentali! Nel mio piccolo, 5 anni fa decisi di migliorare lo standard alquanto penoso delle mie fotografie, e quindi comprai la mia prima reflex digitale ed iniziai a comprare quasi tutte le riviste mensili del settore, cosa che faccio tutt’ora. E fu proprio nell’apprendere anche i dati di scatto delle foto (per me più belle) che riuscii a migliorare i miei scatti, almeno tecnicamente. Dopo i primi due anni sono arrivati i primi riconoscimenti, ovvero vincita di concorsi e numerose pubblicazioni sulle riviste del settore, fino alla vendita di una mia foto per la copertina di un libro, e tutto ciò proprio grazie alla ricetta che tutti conoscono: attrezzatura, studio, perseveranza, tempo e… un po’ di fantasia. Quindi, non facciamo gli integralisti: i dati di scatto sono utilissimi per chi vuole imparare, ed è semplicemente assurdo che vengano negati su una rivista di… fotografia! A costo di ripetermi, se io leggessi una rivista di cucina dove si parlerebbe di una gustosa pietanza senza darne la ricetta… mi altererei, e non poco… Alla fine, posso anche essere d’accordo con Giancarlo sulle scelta della rivista, anche se vale il discorso fatto per l’attrezzatura: intanto io ho l’attrezzatura adeguata e i dati di scatto da cui partire, poi si vede… però, secondo me il vero e semplice motivo per cui Sandro Iovine detesta i dati di scatto è che lui (direttore di una rivista di fotografia) non è un fotografo, come lui stesso ammette.
Giudizi sulle foto: questa è una questione di gusti. A me (e ripeto: a me) piace l’arte facilmente fruibile. Ritengo profondamente ingiusto essere costretto a studiare la vita e le fobie di Picasso per apprezzarne le sue opere, meglio il quadro dell’ultimo paesaggista di Piazza Navona. Allo stesso modo, delle foto che possono essere capite solo leggendo il libro dell’autore… non mi attraggono, una foto deve raccontare tutto da sola, o quasi… ovviamente sono contento che ad altri piacciano i Picasso oppure i libri di Leone/Fossati, semplicemente non li compro perché non mi piacciono. Ma fin qui non c’era bisogno di nessuna discussione, mi sembra abbastanza ovvio. Quello che io ho contestato nella scelta editoriale è che le foto pubblicate sono orribili, è come se Picasso disegnasse una casetta come un bambino di 3 anni. Ho capito che è un Picasso, ma sempre schifo fa… nessuno mi toglie l’impressione che quell’orribile foto del comò con le suppellettili sia semplicemente una foto… orribile, qualsiasi sia il libro a suo supporto. Se passa il concetto che una qualsiasi foto, anche la più brutta, può assumere un significato se contestualizzata in un qualcosa di ben descritto… allora vuol dire che sono veramente belli gli autoritratti di Martina Colombari esibiti nella mostra “Martina In-Visibile”… o no?

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Antonio Caggese ha detto...

Permettetemi però di farvi notare una cosa, anche perché non vorrei esagerare nella lunghezza di questa risposta. Nessuno di voi, nemmeno Giancarlo e (soprattutto) nemmeno Sandro Iovine ha fatto minimamente cenno al vero motivo della mia lettera, e cioè l’arroganza del direttore di una rivista nello sbeffeggiare inutilmente i suoi lettori. Se non fosse stato per quello, io non avrei nemmeno scritto alla rivista… invece, è stato proprio quello il vero spunto da cui è partito tutto. Quindi, parliamo pure di attrezzatura, riviste, dati di scatto e foto più o meno belle, ma perché nessuno risponde al principale (per me) quesito della mia lettera?
A tal proposito, dopo avervi invitato a leggere la seconda parte della mia lettera gentilmente scansionata e messa a disposizione da Giancarlo, vi riporto testualmente la parte finale della mia risposta a Sandro Iovine:
“Per finire, volevo riproporti delle domande su un argomento che hai sorvolato ma che è stato il motivo principale che mi ha spinto a scriverti: perché sei così arrogante e sarcastico con i fotografi alle prime armi che scrivono alla tua rivista? Perché li sbeffeggi pubblicamente? Perché li prendi in giro sfogandoti sulla mamma e sulla fidanzata?”
Per finire, devo dare ragione a Giancarlo su un aspetto di principio: la rivista “Il Fotografo” è diversa dalle altre riviste, come nessuna è uguale all’altra, ed è libera di avere una sua linea editoriale che, se premiata dalle vendite, ha il diritto di essere mantenuta. Ma allora la contraddizione sta nel fatto che una rivista che promuove i “CONTENUTI dell'immagine, sul MESSAGGIO e su CIO' CHE SI PUO' RACCONTARE attraverso il medium della fotografia”, semplicemente non dovrebbe ospitare nessun test hardware e, soprattutto, non dovrebbe aprire la sua rubrica a chiunque. Se invece decide di farlo, non può arrogarsi il diritto di sbeffeggiare i lettori, addirittura per opera del suo stesso direttore. E tutto questo, per aver indicato i dati di scatto di una fotografia inviata ad una rivista di… fotografia!

Ciao e grazie per l’ospitalità!

Giancarlo Parisi ha detto...

Carissimo Antonio (permettimi questo tono confidenziale nonostante la differenza di età che ci divide) sono estremamente contento di vedere il tuo intervento in questo piccolo spazio e ti ringrazio. Spendo due righe per chiarire (anche se non credo ce ne sia bisogno) che non ho aperto questa discussione per fare il processo a te e alla tua lettera, che è stata solo lo spunto di una riflessione. Detto questo torno al discorso, iniziando proprio dalla fine, ovvero il sarcasmo di Sandro Iovine.

Ho volutamente sorvolato su questo punto per due ordini di motivi: il primo è che ritengo il Direttore in grado di difendersi da solo, per cui sarà lui, se lo riterrà opportuno, a darti una risposta, qui o per mezzo di altri canali; il secondo è che sono già stato autore di una lettera, pubblicata in un numero de Il Fotografo non troppo vecchio e che appena avrò modo di spulciare i vecchi numeri vi comunicherò, nella quale esprimevo alcuni concetti al riguardo. In parole povere io penso che sul modo in cui Sandro si esprime nella rubrica "Le vostre foto", può essere preso bene o male dal lettore, tutto dipende dal suo senso dell'humor; non conosco personalmente Sandro, lo conosco solo attraverso il suo mensile, il suo blog e in genere tramite internet, e l'idea che ho di lui è di una persona estremamente ironica (e autoironica), ma non offensiva, quindi semplicemente riderei sopra a quelle "legnate". Si può non condividere questa linea, ma io penso sia esagerato parlare di "offese alla fidanzata", dal momento che l'ultima "vittima" di Sandro non indica nulla di sè per cui potrebbe essere anche single, omosessuale o misogino (non me ne voglia Valerio Ferraro, sto scherzando). Chiarito questo passo ad altro...

SEGUE...

Giancarlo Parisi ha detto...

DATI DI SCATTO E ATTREZZATURA:
La tua posizione, Antonio, è molto chiara, la rispetto e in parte la condivido. Io non ho mai detto che i dati di scatto siano inutili; sono dati utili a comprendere la parte tecnica di una immagine e che, se presenti, possono, ma non necessariamente danno (è questo il punto), dare un aiuto nella realizzazione. Possono anche sviare l'attenzione però, facendo credere ai meno esperti che basti quello (quindi l'attrezzatura) per fare belle immagini.

L'esempio di Steve Vai è utilissimo ma io non mi spiego come fai ad affermare che è la chitarra il punto di partenza; nella mia ignoranza musicale io so che si inizia dalla chitarra classica, per poi passare all'acustica e poi a quella elettrica, in una progressione che è propria di tutti i campi di espressione umana. Chi deve prendere la patente è preferibile inizi a guidare un'utilitaria piuttosto che una Ferrari.

Certo, si può anche partire dall'alto, anche perchè in fotografia non c'è di mezzo la vita, ma le possibilità di imparare l'uso di quello strumento saranno subordinate alla voglia di imparare, al livello di partenza dell'utente e da tante cose che non tutti hanno. Insomma se chi non ha mai fotografato parte da una D3x o da una 1Ds si ritrova un apparecchio con una infinita serie di funzioni che più facilmente lo distrarranno e confonderanno piuttosto che aiutarlo. Anche questo è un concetto semplice e ampiamente condiviso, ma c'è di più.

SEGUE

Giancarlo Parisi ha detto...

Quello che affermi circa il fatto che "nessuno dei più grandi fotografi internazionali scatti con una Nikon D50" e che "Chissà perché, hanno tutti (per esempio) una Nikon D3 oppure una Canon 1D" non è affatto vero e te lo dimostro.

Alex Majoli, fotografo della Magnum Photos, pluripremiato ai concorsi fotogiornalistici più prestigiosi del mondo, usa esclusivamente delle compatte della Olympus (le cosiddette point and shoot). Ha pubblicato numerosi servizi su riviste come Time e Newsweek scattati con macchine da 4, 5, al massimo 8 megapixel. Qui il profilo di Alex sul sito Magnum:
http://www.magnumphotos.com/Archive/C.aspx?VP=XSpecific_MAG.PhotographerDetail_VPage&l1=0&pid=2K7O3R13S3S3&nm=Alex%20Majoli

Qui un'intervista a lui dove dice chiaramente di usare le compatte (purtroppo solo in inglese):
http://www.robgalbraith.com/bins/multi_page.asp?cid=7-6468-7844

Ed ancora, Fabrizio Ferri, noto fotografo italiano di moda, ha ritratto Martina Colombari (guarda caso) per la copertina di Max con una PowerShot G9:
http://www.dphoto.it/200811071304/digitali-canon/fabrizio-ferri-martina-colombari-e-la-canon-g9.html

Quindi non è affatto vero quello che affermi e non credo si possa affatto generalizzare. E questo dimostra ampiamente come il possesso di conoscenze e attrezzature tecniche sia solo uno (e quasi mai il più importante) degli elementi per produrre un buon prodotto, in questo caso fotografico.

GIUDIZI SULLE FOTO:
Dici giustamente che è una questione di gusti. Nulla da eccepire, se non fosse per il fatto che in ragione dei tuoi rispettabilissimi gusti hai ritenuto inadeguata la scelta di pubblicare quelle foto e quell'articolo sui due libri.
Insomma, potrei star qui a fare tutta una manfrina sui contenuti di quei libri e soprattutto di quelle foto, alcune delle quali trovo davvero profonde e che mi hanno letteralmente commosso, ma non ci troveremmo mai d'accordo, perchè ti hanno lasciato completamente indifferente, al punto da non voler sapere nulla al riguardo.
Eppure non tutto, nella storia dell'uomo, è stato sempre autoevidente, e a volte leggere tra le righe, porsi delle domande (quindi andare a caccia di risposte) è molto più stimolante della comoda fruizione immediata di qualche contenuto, concepito appositamente a tale scopo (cioè essere immediatamente fruibile).

Neanche io rinnego il fatto di amare, talvolta, espressioni artistiche meno complesse e belle nella loro semplicità, ma sono consapevole che non sono le uniche manifestazioni, per fortuna aggiungo. Io non credo sia ingiusto dover studiare la vita e le fobie di Picasso per apprezzarne appieno le opere, semplicemente perchè nessuno ti obbliga a farlo, e ciò che ti resta dopo questo studio e questa comprensione è molto di più di quello che può lasciarti un'opera autoevidente.

Concludo con due parole sulla diversità de Il Fotografo" e sugli ultimi concetti che hai espresso. Può darsi che ci sia una forma di incoerenza tra la linea editoriale cui si inneggia e le recensioni, ma si tratta sempre di scelte e di target; insomma, Il Fotografo non è ZOOM, e non ha mai preteso di esserlo. Riguardo l'apertura delle rubriche a chiunque, beh la rubrica "Esercizio a tema" è sicuramente aperta a chiunque, ma è diversa da altre ruriche simili di altre riviste: pone un tema e sceglie tra centinaia e centinaia di lettori quelli le cui immagini sono più meritevoli, non limitandosi a pubblicarle ma commentandole. Io lo trovo molto più utile dei dati di scatto.

Anonimo ha detto...

Ringrazio anche io per l'ospitalità e per l'opportunità di rispondere direttamente ad Antonio

Provo a seguire passo passo le tue riflessioni e dichiaro subito che diffido dei concetti “talmente banali e universalmente accettati” per i quali nessuno afferma il contrario, perché in realtà non lo sono quasi mai, e non si tratta solo di una mia un’opinione personale. Tutto il pensiero occidentale, esattamente l’orizzonte all’interno del quale ci stiamo muovendo, ha cambiato rotta quando nel ‘600 un manipolo di scienziati malvisti dal Potere dell’epoca, due nomi a caso Newton e Galileo, hanno introdotto una condizione imprescindibile per cui un’affermazione, sia vera: ossia deve essere ripetibile e universale (valida in ogni contesto e per tutti gli individui), deve poter essere soggetta a verifiche e dimostrazioni e vera per tutti. La tua frase NON è un assioma, poiché a te sembra ragionevole l’hai estesa a tutto il mondo della fotografia, ma come mi trovo troppo spesso a ricordare ultimamente il fatto di pensare una cosa, non la rende vera, e non la rende vera per tutti: quindi certamente non è universale. Si tratta di un salto indebito della ragione rispetto all’intelletto (non mi prendo la paternità di una delle più rivoluzionarie affermazione del diciottesimo secolo, la dobbiamo a Kant) e certo il “vizio” di estendere a tutti i risultati delle nostre affermazioni non è un tuo limite in quanto “Antonio”, lo è in quanto essere umano, se pensi che S. Anselmo ci ha fondato il suo Proslogion, la sua dimostrazione a priori sull’esistenza di Dio, la nostra conversazione tratta di quisquiglie. Ma la falla logica appartiene ad Anselmo e a te in ugual misura, naturalmente anche a me quando provo ad imporre la mia opinione come l’unica possibile.

Quindi la questione sul feticismo del mezzo non è conclusa e non lo sarà fino a quando ci saranno persone convinte che possedere uno strumento fotografico, faccia il fotografo, più che avere un’idea fotografica, un progetto da perseguire, un mondo da indagare, una storia da raccontare. A meno che tu non possa dimostrarmi che tutti i possessori di una macchina fotografica la pensino come te e ancora che io stessa la pensi come te. Questo è un paradosso irrisolvibile.

Io amo leggere sopra ogni cosa e sono onnivora in questo senso, scivolo dal saggio al racconto breve al romanzo d’appendice dell’ottocento senza soluzione di continuità, possiedo un computer e tante bellissime penne, ricevo quaderni ogni natale e compleanno perché tutti sanno che sono una grafomane, ma niente di questo mi rende una scrittrice, perché io NON ho una storia mia. Io non ho un progetto di scrittura e se anche il mio scrittore preferito a margine dei suoi romanzi mi scrivesse che tecnica ha usato, perché ha scelto quella particolare soluzione sintattica o se mi sottolineasse proprio quella figura retorica (che so anche riconoscere da sola), in che modo apprezzerei di più il fluire del suo narrare? Quando guardo un libro di fotografie io cerco lo sguardo che l’ha guidato sguardo, il suo incedere, aggiungerebbe qualcosa a questa comprensione sapere che macchina ha usato, no… magari di più capire in che universo si è mosso, che libri ha letto, che immagini lo hanno formato. Ma forse noi cerchiamo solo cose diverse in un’immagine, le cose più vicine al nostro animo, quello che riusciamo a capire e io dati Exif proprio non li capisco.
Segue...

Anonimo ha detto...

Credo che come al solito il terreno dell’agone si giochi sulla scelta tra forma e contenuto, sono convinta che se possiamo trovare un punto d’incontro tu ed io sia questo: la forma senza contenuto e vuota e sterile e un contenuto senza forma rischia di essere inintellegibile.

Ma uno scarto sul quale invece non possiamo trovarci è che gli appassionati di fotografia non possano prescindere dall’attrezzatura, sob… assurdo davvero, io potrei definirmi un’appassionata di fotografia, di IMMAGINI, e non di macchine fotografiche. Riesco a riconoscere il genio di Bresson senza conoscere i dati di scatto della Nikon D3x.

E Antonio come tu hai imparato a fotografare dalle basi, certo che anche io ho imparato a leggere con il sussidiario di prima elementare, ma adesso NON mi basta più. E non dico che non debbano più editarli, dico che io non li compro più, io scelgo di leggere altro. Bene ci sono riviste per appassionati di attrezzatura che rispondono a tutte le loro esigenze, coccolano il lettore con storie facili, blandiscono qualsiasi tentativo di immagine che il lettore produca per non urtare la sua sensibilità. Ma io penso a me in un altro modo, e scelgo di acquistare una rivista che sa darmi un 4 se lo merito, come faceva la mia professoressa di Italiano, mai preoccupata delle mie fragilità, trattandomi da persona e a suo modo preparandomi a leggere Il Fotografo, la ringrazio.

Il fatto che a te piaccia l’arte (?) facilmente fruibile non ti da il diritto di affermare che le foto di Leone/Fossati siano inguardabili (perché tu hai il diritto di giudicare con la stessa veemenza, che in Iovine chiami arroganza? perché sei così arrogante con i fotografi le cui immagini non apprezzi, non comprendi? Chi sto citando?). A me interessa capire invece, e la mia posizione ha uguale dignità rispetto alla tua, quindi se io sono costretta a sorbirmi sulle riviste centinaia di tramonti tutti uguali, con struggenti atmosfere e dati di esposizione tu puoi sopportare immagini non subito comprensibili, siamo pari. Tu hai passato ore a studiare i dati di scatto per capire come realizzare le foto che ami e io posso passarne per capire perché Picasso che sapeva dar vita a cavalli cui mancava solo il nitrito decide di trasformare in altro il suo tratto, l’ho detto siamo pari. E i giudizi sulle foto non sono questione di gusti, per fortuna ci sono i critici che hanno guardato, studiato, valutato, letto abbastanza da non confondere la casetta stilizzata di Picasso con quella di un bambino di tre anni. Perché dove la forma è simile, nello specifico qui ciò che conta è l’intenzione, il perché dietro il gesto che determina il risultato. La consapevolezza dell’azione e la storia che ha guidato la mano e la mente, perché Picasso sa disegnare una casa perfetta e la bambina di tre anni No.

Quello che non comprendo facilmente mi incuriosisce, quello che mi annoiava 20 anni fa perché non immediato o troppo complesso oggi ha un volto diverso, per dirla con San Paolo “Quand'ero bambino, parlavo da bambino, pensavo da bambino, ragionavo da bambino, ma da quando sono diventato uomo, ho smesso di fare le cose dei bambini.”
Segue...

Anonimo ha detto...

Ma cosa più di tutto mi ha portato a risponderti è l’affermazione che a Iovine non piacciono i dati di scatto perché non è un fotografo: Davvero non so resistere alla tentazione:

“L'apparecchio per noi è uno strumento, non un giocattolino meccanico. E' sufficiente trovarsi bene con l'apparecchio più adatto a quello che vogliamo fare. Le regolazioni, il diaframma, i tempi ecc, devono diventare un riflesso, come cambiare marcia in automobile, e non c'è molto da commentare su queste operazioni, anche su quelle più complicate; sono enunciate con precisione militare nel manuale d'istruzioni fornito dai fabbricanti con l'apparecchio e la custodia in pelle.
Il procedimento della fotografia non mi interessa. Non ci penso mai. No, non ho l'ossessione della fotografia. Sono ossessionato da ciò che vedo, dalla vita, dalla realtà.” HC Bresson

Ecco ho trovato almeno un fotografo che non la pensa come te.

Claudia M.

Antonio Caggese ha detto...

Cara Claudia, ti preannuncio che non sono in grado di seguirti sul sentiero della filosofia. I tuoi discorsi sono sicuramente interessanti e autenticamente convincenti, ma io non volevo né sono in grado di allontanarmi da un discorso sostanzialmente terra-terra, molto più semplice di quello che pare abbia scatenato. Detesto le citazioni di personaggi famosi, come quella di HCB che hai riportato... che vuol dire? Che Oliviero Toscani non prova un orgasmo quando gli arriva la sua nuova Hasselblad H4D-60 da € 40.000 e 60 Megapixel? Con un sensore che ti permette di vedere la Madonnina sul Duomo di Milano inquadrandola dalla Torre di Pisa? Non ci credo... Anche io, divenuto famosissimo e ricchissimo come HCB avrei detto le sue stesse cose chicchissime, anche perché HCB non avrebbe mai potuto affermare di sbrodolarsi quando gli arrivava la sua nuova Leica.
Se può interessarti, negli anni 70 sviluppavo per ore nella camera oscura con mio padre, ma oggi non ne sento alcuna nostalgia... e il compulso consumistico che provo per le mie reflex è limitato a pochi giorni dopo l'acquisto... poi le uso, come sempre... mica le idolatro... quindi, come vedi, faccio come HCB: chissenefrega di cosa ho nello zaino, l'importante è avere l'attrezzatura giusta al momento giusto, ma questa attrezzatura la dovrò pur comprare? o no? e secondo te dovrei andare dal negoziante rimanendo algido come Rita Levi Montalcini? E privarmi dell'emozione per un nuovo acquisto? E’ inumano... scommetto che anche l'uomo primitivo era contento appena dopo essersi costruito la sua nuova ascia.
E poi... HCB è stato un grande, ma sapresti davvero riconoscere un suo scatto ad occhi chiusi tra altri? Molte delle foto di HCB sono imperfette e anonime, se le postassi (come mie) in un forum per sottoporle al giudizio degli appassionati mi prenderebbero in giro... ne abbiamo parlato in vari forum... la suggestione fa sempre la sua parte... ho appena organizzato un test che ha sconfessato quelli che si ritenevano superesperti di nutella e coca cola, dimostrando ad occhi chiusi che non erano in grado riconoscere il vero dal falso, non puoi immaginare come mi sono divertito, sono passati parecchi giorni e sghignazzo al solo pensiero! :-)
Poi, riguardo l’attrezzatura, ripeto: trovatemi una sola persona che affermi con convinzione che per suonare come Steve Vai basti la sua chitarra… oppure che basti una Nikon D3 per fotografare come Steve McCurry… e vi do ragione 2-0 a tavolino. Una cosa è certa: troverete invece gente che affermerà che se Steve McCurry volesse fare uno dei suoi mitici servizi durante la pioggia con una Nikon D40… non potrebbe, se ne dovrebbe tornare a casa… mentre con una Nikon D3x potrebbe continuare a scattare… quindi: l’attrezzatura conta o no? Almeno un po’ conta, giusto? E’ vero che ho sempre affermato che è uno degli ingredienti ma non l’unico? O no? Dov’è il problema? Oppure secondo qualcuno in Amazzonia o a bordo campo nello stadio ci posso andare con una Coolpix? Si può avere il miglior progetto fotografico da perseguire, ma senza attrezzatura non lo persegui.

SEGUE

Antonio Caggese ha detto...

E non è vero che non possiamo trovarci d’accordo sul fatto che un appassionato di fotografia non possa prescindere dall’attrezzatura, io parlavo di appassionati di fotografia che scattano fotografie, quindi fotografi… come farebbero questi ultimi a prescindere dall’attrezzatura? Non capisco… lo può invece fare Sandro Iovine, appunto… che per sua stessa ammissione non è un fotografo, cioè uno che non scatta fotografie, e ritiene quindi inutile indicare i dati di scatto… lui non ha la spinta ad uscire con la reflex in mano per cercare di fare una foto simile a quella che ha ammirato poc’anzi, quindi come può interessarsi ai dati di scatto? E quindi costruisce una rivista rivolta agli amanti della fotografia, dove si parla dei contenuti e non delle attrezzature… però poi fa i test hardware come Digital camera… e chiama la rivista “Il Fotografo”… mah… allora chiamala “La Fotografia”, non fare le recensioni alle nuove reflex, non aprire la posta al popolo e non offendere nessuno di quello che non ha capito che tu sei un amante della fotografia e non un fotografo.

Cara Claudia, per finire… vedo che anche tu hai elegantemente glissato sul quesito principale che (ripeto) è il vero motivo che mi ha spinto a scrivere: rileggendo la risposta di Iovine a Ferraro, non ti è sembrato maleducato?

Grazie per l’attenzione, ciao! :-)

Antonio Caggese ha detto...

Ed ora veniamo a Giancarlo! :-)

Ciao Giancarlo, approfitto ancora dello spazio che mi metti a disposizione per cercare di replicare velocemente alle tue considerazioni, cercando di essere il più conciso possibile.

Attrezzatura: evidentemente non mi sono espresso bene, ho estremizzato ma non era mia intenzione affermare che per riuscire in un campo bisogna dotarsi in partenza della migliore attrezzatura… dipende anche dalla disponibilità economica e dal campo di cui parliamo. Quando, dopo anni di strimpellamenti, decisi di comprare la mia prima chitarra elettrica, mi regalai una Fender Stratocaster che è il massimo per un chitarrista ma comunque costa relativamente poco, oggi con poco più di € 1.000 te la porti a casa. Diverso è il discorso per una Nikon D3x e men che meno per una Ferrari. Le eccezioni che hai indicato tu sono (appunto) eccezioni, anche io vedo in giro delle bellissime foto fatte con le pinhole di cartone dal costo di € 0 (zero!), ma vallo a dire al naturalista appostato da giorni nel Serengeti. Insomma, la ricetta è sempre quella, ai fini della riuscita l’attrezzatura è solo uno degli ingredienti, ma di certo bisognerebbe tendere ad acquistare la migliore che ci si può permettere… sempre se si hanno intenzioni serie!

Giudizi sulle foto: fermo restando che le foto pubblicate sul n. 222 mi continuano a sembrare mal fatte anche se ben spiegate, siamo in un campo governato dai gusti che sono quindi sostanzialmente insindacabili. Se a qualcuno piace dover leggere un libro per capire delle foto, sono contento per lui che ne tragga piacere, io mi rivolgo ad un altro genere di foto, ovvero quelle che mi emozionano al primo colpo d’occhio, e penso che possiamo continuare a vivere tutti sereni.

Sandro Iovine: che Iovine a volte sia ironico non c’è dubbio, ma non credo che sia ironia quella usata nel rispondere ad alcuni dei suoi lettori. Diciamo la verità: nella risposta da me criticata ha letteralmente cazziato il lettore solo perché ha indicato i dati di scatto (su una rivista di fotografia!!!), sprecando spazio prezioso e spingendosi in una zona che secondo me ha sconfinato nelle offese personali. E mi è sembrata una reazione quasi isterica da parte di una persona che mi sembra statisticamente abbastanza saggia, ed ho voluto dirglielo. Lui, in maniera un po’ furbetta, ha completamente sorvolato su questo aspetto, nonostante gli avessi detto che era lo spunto principale della mia missiva. Insomma, non ci ho visto nulla di ironico, se qualcuno si rivolgesse a me con questi toni non la prenderei bene, soprattutto in un equilibrio lettore/direttore, allievo/maestro. Trattare male (gratuitamente) un principiante vuol dire fare il contrario di quello di cui ha bisogno la fotografia.

Quindi: ben venga una rivista che ha un suo punto di vista, ma il direttore mi è sembrato maleducato, tutto qui… e gliel’ho detto! :-)

Ciao!

Giancarlo Parisi ha detto...

Due interventi lunghi e interessanti cui è difficile rispondere sinteticamente, ci provo. Le posizioni sono molto chiare e soprattutto grazie all'ultimo intervento di Antonio mi sento di affermare di aver ben capito il suo punto di vista, che come ho anticipato è in buona parte condivisibile. Tutti diciamo che l'attrezzatura ha la sua importanza ma che non è l'unico fattore che determina la riuscita della foto, anche se ognuno di noi ha espresso questo concetto con parole diverse.

Palese è anche la diversa posizione di fronte alla lettura e fruizione delle fotografie a dell'arte in genere, anche questa rispettabilissima e quindi comprensibile. Voglio solo precisare una cosa: è inesatto dire che per comprendere le processate immagini di Fossati e Leone si deve leggere il libro relativo, perchè LE IMMAGINI & IL LIBRO (rispettivamente parlando) sono un tutt'uno da leggere insieme! Fanno parte di un racconto dell'autore che ha scelto testo e immagini per parlare al lettore, ma il testo non ha una funzione illustrativa e didascalica. E potrei dilungarmi moltissimo sul valore della didascalia e sul fatto che la fotografia non necessariamente dev'essere (di fatto non è ontologicamente) autopoietica, altrimenti non si spiegherebbe l'esistenza delle didascalie, ma sorvolo su questo punto perchè davvero imponente da trattare in replica e assolutamente fuori tema.

Torno allora al discorso, perchè c'è ancora qualcosa che non mi convince. Partiamo proprio dalla lettera di Ferraro e dalla risposta di Iovine; anzi partiamo proprio dalla rubrica "Le vostre foto".

L'ipotesi massima che possa legittimare al meglio la tua tesi sulla maleducazione Antonio è che Valerio Ferraro abbia acquistato, prima di inviare LA foto, solo un numero della rivista (quindi il 221) e in base a quello abbia deciso di sottoporre l'immagine al direttore. Se le cose sono andate davvero così, mi chiedo perchè il Ferraro abbia corredato la sua immagine con una lapidaria descrizione dei dati di scatto e null'altro! Me lo chiedo perchè proprio nel n. 221 un altro lettore, Massimo Santoni (che saluto se mi legge visto che fa parte di una comune comunità virtuale di fotografia) è stato "martoriato" per lo stesso motivo. Insomma, nell'ipotesi che sto facendo, Ferraro compra il numero 221, presumibilmente legge la rubrica "le vostre foto" (condizione, credo, imprescindibile per decidere se inviare delle foto ad una rivista) nella quale ci sono gli stessi identici appunti al lettore sui dati di scatto (lettore che almeno ha scritto una presentazione che possa chiamarsi tale) e, decidendo di inviare la foto, un'unica foto peraltro n.d.r., si presenta lapidariamente in quel modo. Io credo che il primo ad essere in difetto sia lui...

SEGUE

Giancarlo Parisi ha detto...

Capisco che non ci sono regole precise per corredare il materiale fotografico da inviare alla rubrica, ma presentarsi in quel modo potrebbe tranquillamente essere letto come: "Tieni, pubblica questa foto"! E così come tu hai letto maleducazione nella citazione a mamma e fidanzata, Iovine avrà letto qualcosa di simile in quella presentazione.
E a proposito di mamma e fidanzata, ho riletto tutta la lettera e onestamente non capisco dove sia questa maleducazione. Forse nella considerazione che Iovine fa a proposito della fidanzata quando asserisce che è preferibile alla mamma nell'elargire complimenti? Beh grazie direi io, magari si complimenta in natura :-) Insomma, scherzi a parte, davvero non riesco a leggere un'offesa in una considerazione generica, assolutamente apersonale (i soggetti in questione non si conoscono) e piuttosto ironica invece.

Ma il problema non è neanche questo in fondo, e lo dico da lettore assiduo, perchè se i dati di scatto venissero inseriti in un lavoro fotografico di una certa rilevanza comunicativa, estetica, tecnica, di colpo d'occhio e di creatività (i criteri di valutazione usati dalla rivista) stai certo che Iovine non avrebbe detto nulla in proposito, limitandosi ad ignorarli o considerarli personalmente e relativamente.

Il punto è che molti lettori, e qui torniamo al nodo iniziale della discussione, si CROGIOLANO nei dati di scatto, contenti di aver prodotto qualcosa con il loro gingillo (che a tutti piace) dimenticando tutto il resto! Molti lettori spediscono le foto sperando di sentirsi dire "bravo" e se la cosa riesce ciò aumenterebbe la considerazione che loro hanno del gingillo: "che belle foto che FACCIO (per la felicità di A.Gilardi) con la mia Dxxx/xxxD".

Tutto qui! Di progetto comunicativo, di voglia di raccontare, di usare la fotografia per qualcosa di diverso che una mera espressione estetica (spesso presente solo come chimera) spesso non c'è traccia ed è questo che innesca l'ironia del direttore. Ma insomma, Ferraro manda una foto di una Cincia che becca un girasole secco, tecnicamente ineccepibile e molto gradevole da guardare per sentirsi dire cosa? "Bella Foto!"? Beh, c'è riuscito, ma uno che ha un 300mm f/2,8 si presume lo sappia già da solo se UNA (e sottolineo UNA) foto è buona o no.
Diverso sarebbe stato se avesse mandato una serie, almeno ci sarebbe stato di che analizzare.

Non trovi?

Anonimo ha detto...

Non vorrei davvero imporre troppo la mia presenza e credo le mie posizione siano chiare, ma vorrei rispondere alla domanda diretta di Antonio.

No, non credo che Iovine sia maleducato. Credo che sia onesto, credo che sia sincero, credo che non nasconda il suo reale pensiero, credo che da anni mantenga uno schietto e diretto rapporto con i suoi lettori, come davvero pochi fanno. La rubrica oggetto della tua reprimenda è coerente con la sua storia, come dice il nostro ospite, chi invia una foto a Il Fotografo non può ignorarlo e se è vero che negli anni ci sono stati scatti oggetto di plauso io ritengo che la redazione faccia delle scelte precise per rispondere non solo al diretto interessato, ma che siano in qualche modo un suggerimento per tutti. Posso essere smentita, mi muovo nel campo delle supposizioni, ma un certo tono ruvido è il marchio di fabbrica di Iovine, puoi decidere di affrontarlo o no, ma le regole del gioco sono queste. e sono così vere che Iovine mi pare le applichi a se stesso.

Ti prego dimmi in quante riviste avresti vista pubblicata la tua lettera. O quanto più spesso le “altre” ci hanno abituato solo a “complimenti per la rivista” e “vi prego continuate così” e “siete la mia rivista preferita” e “dati di scatto belli come i vostri non ne ho visti mai”.... Invece arriva la tua lettera e lui ti risponde, punto per punto, non per giustificarsi certo, ma spiegandoti la sua posizione.

Quindi No, nemmeno un momento ho trovato Iovine maleducato, l’ho ritrovato se stesso. E sai che in un universo di politically correct, di frasi fatte e sorrisi di convenienza, avere almeno un posto dove non sei acquistato a buon mercato da parole dolci, ma dove diventi interlocutore vero, che può fare critiche e riceverne mi riconcilia con il consesso umano. Lo so, lo so può sembrare paradossale.

Segue...

Anonimo ha detto...

Ma dai, tu stesso nella lettera, che ho riletto solo per provare a liberarmi dall’idea che me ne sono fatta, dici che “solo” su Il Fotografo hai trovato foto il cui valore ti fa domandare come siano finite sulla rivista stessa. Ossia non ti è capitato sulle altre, per l’ottimo motivo che le altre riviste non fanno che ripubblicare le stesse foto da 10 anni, non vado più indietro perchè prima non le frequentavo. Sono le stesse foto, cambiano i nomi degli autori, varia la tecnologia, qualche decimale nei dati di scatto, ma ci mettono davanti sempre la stessa storia. Mai un palo in mezzo alla foto che ci dia fastidio. Mai un tramonto storto di 30 gradi a farci venire il mal di mare! E poichè riconosciamo solo questo accettiamo che il mondo che ci hanno messo davanti agli occhi sia l’unico possibile e quello che si allontana da quella precisa interpretazione non ci emoziona più, non lo riconosciamo e lo scartiamo. Ma forse quello che ci da fastidio va ad urtare qualcosa d’altro, può svelarci un altro percorso, essere stimolo e scoperta.

Una sfida che io accetto. E poi quando citi pali in mezzo alle foto penso ad un’immagine di Robert Frank in The Americans... dove quel palo crea fastidio, fa il rumore delle unghie contro la lavagna e racconta la divisione, lo straniamento, l’isolamento la lontananza dell’america rurale degli anni ’50 da una civiltà altra, è impareggiabile quel palo. Ok, ok, non posso parlare di grandi fotografi, però non vale, tu emetti giudizi necessari e universali insindacabili e poi vuoi giocare da solo, Iovine non può parlare perchè non è un fotografo, Bresson non può parlare perchè è “troppo” fotografo, io amo la fotografia, ma i fotografi sono un’altra cosa... non togliermi la speranza ci sia in giro qualche fotografo che ami la Fotografia.

E guarda senza dubbio se inviassi quella foto di Frank in qualche blog sarebbe criticata, ma ti assicuro, che in nessun momento penserei alla pochezza di Frank, quanto piuttosto alla pochezza dei giudici. E il giochino che ti fa tanto divertire, io lo trovo triste e deprimente, probabilmente, no certamente, ne sarei vittima anche io, ma non intendo cercare attenuanti per quella che ritengo una mia profonda mancanza, perchè so di non aver visto abbastanza, letto abbastanza, studiato abbastanza, e la mia stolida ignoranza potrebbe portarmi a dire sciocchezze di cui non vedo come il Bresson o il Frank della situazione siano responsabili.

Segue...

Anonimo ha detto...

Ti lancio una provocazione infine, e se Bresson fosse stato un grandissimo proprio perchè non aveva slanci orgasmici verso la sua Leica? Se proprio la ricerca di uno sguardo altro lo avesse portato a svelarci quel mondo unico che ci mostrato? Ho letto da poco un commento di uno scrittore, Carlo Riggi (psicoterapeuta e fotoamatore, quindi almeno lui spero che ti vada bene come interlocutore), che così scrive di Bresson: ”La sua passione per la Leica fu data non già dalle virtù "soprannaturali" delle sue ottiche, quanto dall'estrema semplicità del suo utilizzo, la possibilità di farla "sparire" diventandone tutt'uno e di potersi sentire il più vicino possibile al soggetto. Utilizzò praticamente tutti i modelli, ma l'unica cosa che chiedeva era che i comandi fossero allo stesso posto!”

E infine grazie Giancarlo per lo spazio offerto, vorrei avere qualcosa da dire sul tuo ultimo intervento, sollevare obiezioni, essere caparbiamente contro qualcosa... ma oltre al fatto che mi sento di condividerlo, pare che la vena invettiva mi abbia abbandonato...

Claudia M.

Giancarlo Parisi ha detto...

Grazie a te Claudia per i profondi interventi che hai dedicato a questo spazio e che faccio miei. L'ultimo in particolare lo trovo molto intenso e non avrei potuto trovare parole migliori per esprimere i tuoi stessi concetti.
Vorrei fare mia in particolare questa tua frase: "E poichè riconosciamo solo questo accettiamo che il mondo che ci hanno messo davanti agli occhi sia l’unico possibile e quello che si allontana da quella precisa interpretazione non ci emoziona più, non lo riconosciamo e lo scartiamo."

Ho volutamente sorvolato sul gioco che ha raccontato Antonio proprio perchè, come te, mi deprime e mi spaventa perchè potrei esserne vittima anche io per gli stessi motivi. E voglio ancora soffermarmi su questo punto, perchè lo ritengo essenziale: ma davvero pensiamo che il fatto che nei forum o nei portali di fotografia non si riconosca una foto di un grande fotografo sia un elemento importante? E' solo un ulteriore dato a favore della tesi della superficialità e del politically correct in fotografia. Quello cui i superesperti di nutella e cocacola inneggiano non è altro che una variante della tecnomania, consistente nell'ostensione a tutti i costi di un sapere meramente nozionistico e dunque inevitabilmente fallace. E' nelle parole di Claudia la risposta, cioè che un palo non è soltanto un elemento di disturbo in un bel paeaggio da appendere al muro.

E a proposito di Pali, riferendomi alla foto di apertura dell'articolo su Leone e Fossati (quella della colonna di marmo), appena l'ho vista mi ha fatto venire in mente questa foto:

http://farm4.static.flickr.com/3281/2838334660_b5f7cd57cf_o.jpg

E' di John Pfahl, e fa parte dei suoi "altered landscape". E non te lo cito perchè è bellissimo, sublime e/o meraviglioso, ma per un motivo molto più importante.
Sotto la spinta dell'arte concettuae, a partire dal 1965, molti artisti hanno cominciato a usare la fotografia come registrazione di un esperienza personale, convinti che la sua natura documentaria non potesse interferire con la trasmissione delle loro idee (cioè la fotografia sarebbe un mezzo che non contamina il messaggio). Pfahl e altri autori hanno invece dimostrato il contrario: la fotografia impone condizionamenti paradossali.

Ecco, la conoscenza di queste nozioni credo valga molto di più di mille dati exif, perchè aiuta alla piena comprensione del mezzo fotografico e del suo linguaggio. Chiaramente la conoscenza di un linguaggio è utile se si ha qualcosa da dire, altrimenti vanno benissimo i tramonti propinati da 10 anni a questa parte da altre riviste.

Antonio Caggese ha detto...

Pensare che "Il Fotografo" sia l'unica rivista che parli veramente di fotografia assomiglia molto alla presunzione che hanno molti dietrologhi, che credono di essere i depositari della vera verità, mentre tutto il resto appartiene al tetro scenario che organizzano le multinazionali per mungerci il portafogli. Nelle tue parole, Claudia, noto una certa intransigenza morale ai limiti del fondamentalismo, forse perché ti sembra quasi impossibile che le persone agiscano e pensino in modo diverso da te, ed in questo mi ricordi molto i miei trascorsi fondamentalismi giovanili. A 20 anni (già convertito alla religione del metallo pesante e munito di chitarrona elettrica) ero un talebano dell’hard rock, e toglievo il saluto a chi ammetteva gli piacesse Francesco De Gregori, avessi avuto Fiordaliso tra le mani l’avrei squagliata nell’acido muriatico. In pratica, mi ero ritirato in una specie di eremitaggio social-musicale. Ma negli anni (diciamo con la vecchiaia) ho capito che la tolleranza è fonte di conoscenza, la comprensione e la condivisione delle esperienze è il collante dei gruppi sociali, e quindi oggi oltre ai Foo Fighters ascolto allegramente anche Lady Gaga. Anni fa, mi interessava che musica ascoltassero gli altri, oggi mi interessa che sensazioni provino gli altri quando l’ascoltano. Per tutte le forme d’arte, non possiamo pretendere che TUTTI siano dei veri intenditori. Nella musica spopola Madonna mentre un piccolo gruppetto di persone (tra cui io!) apprezza Steve Vai. La maggior parte delle persone apprezza le foto-cartoline, mentre butterebbe al cesso i B/N di HCB. Ben vengano quindi tante riviste che parlino di fotografie “commerciali”, proporzionalmente al numero dei loro estimatori. Ben vengano poi poche riviste che parlino di fotografia per pochi eletti. Chi tra i due gruppi di lettori può considerarsi migliore? Nessuno… provano entrambi belle emozioni? Se la risposta è sì allora va tutto bene. Non vedo manovre di oscure sette che ci condizionano con tecniche subliminali, ci sono tante riviste che pubblicano lettere ai limiti della calunnia per dimostrare la loro democraticità. Insomma, è un po’ come al cinema, dove la massa va a vedere “Avatar” mentre pochissime persone si professano estimatori di Kieslowsy… ma (guarda caso) i secondi disprezzano i primi con tutte le loro forze, mentre i primi… vivono felici!
Alla tua interessante provocazione (sicuramente verosimile) rispondo con un’altra: e se HCB fosse vivo? Cosa potrebbe fare con le moderne attrezzature fotografiche? Pensa a cosa avrebbe suonato oggi Jimi Hendrix con le moderne attrezzature musicali… a me l’aura mitologica che circonda HCB mi fa sorridere, così come l’idolatria cui è destinato Jimi Hendrix. Ok, sono stati dei grandi pionieri, ma parliamo di decenni fa… sentire oggi i dischi di Hendrix mi suscitano una grande tenerezza… belli, per carità, ma tecnicamente bambineschi (mio figlio suona meglio di lui), imperfetti e (quello che mi da più fastidio) registrati male… che devo fare, una volta affinato l’orecchio alle perfezioni degli ultimi anni non riesco a sentire un disco degli anni ’60.

Antonio Caggese ha detto...

Tornando anche alle considerazioni di Giancarlo, accenno brevemente al fatto che utilizzare in quel modo mamma e fidanzata non mi sembra carino, ed allo stesso tempo non riesco a capire come un lettore si possa crogiolare nei dati di scatto. Comunque, cerco di spiegare perché ritengo Iovine (a volte) un maleducato. Come ho scritto nella mia missiva, la spazio che la rivista offre ai lettori non porta nessun avviso, a differenza di altre riviste, dove l’invio di qualsiasi materiale deve seguire delle regole ben precise. Per esempio, alla rivista “Tutti Fotografi” si possono inviare al Sig. Crea solo stampe, le foto digitali sono tassativamente vietate, ed infatti non vengono nemmeno prese in considerazione. Ora, se un lettore compra un numero de “Il Fotografo”, anche mesi prima, come fa a capire le barriere mentali di Iovine? Potrebbe benissimo commettere la leggerezza di inviare una foto senza pensarci troppo, anche perché (ripeto) la rubrica non reca nessun avviso. E’ vero, Giancarlo, che avrebbe potuto inviare una serie più organica, ma non c’è nulla che lo suggerisca. Alla fine, ammettiamo che questo lettore commetta una specie di errore. Bene… cosa fa un direttore maturo di una rivista che si professa come una delle più illuminate sul mercato? Gli spiega bonariamente i limiti del suo invio, e lo invita a riprovare quando avrà raggiunto una maggiore consapevolezza delle sue opere. Ecco, questo mi sarei aspettato da Iovine, che invece (ripeto) ha cazziato il lettore (evidentemente ignaro) sprecando del prezioso spazio della rivista. Approfittare della sua posizione ed esperienza per sbeffeggiare pubblicamente un fotografo in erba mi è sembrato maleducato, sarà anche il fatto che (semplicemente) non sopporto chi è forte con i deboli… soprattutto quando il debole non aveva i mezzi per capire che stava sbagliando!

Alla fine, consiglierò a Iovine di sprecare qualche riga in testa alla sua rubrica: “L’indicazione dei dati di scatto oppure l’assenza di un’idea progettuale impediranno la pubblicazione delle fotografie inviate.”

Pensa a quanto fegato risparmierà Iovine! :-)

Bye

Giancarlo Parisi ha detto...

Antonio, a parte il fatto che c'è un indicazione sul numero massimo di foto che si "invita a non superare", il che può benissimo essere inteso come un suggerimento a non mandare una sola foto, ma secondo me perdi di vista un dato importante. Uno che fa una foto come quella di Ferraro non è propriamente un fotografo in erba, ma uno con una certa esperienza, è un dato di fatto non una supposizione. Questo non legittima certo la maleducazione, ma io ripeto non l'ho vista da nessuna parte. E Filippo Crea di "Tutti Fotografi"? dovresti mandargli una lettera per redarguirlo ogni mese.

Un'ultima cosa, qui nessuno ha detto che Il Fotografo è la migliore rivista, personalmente ne compro saltuariamente almeno altre 3 che trovo interessanti per altri versi. Forse Claudia ha lasciato intendere questo, ma io credo che il suo intervento vada letto un pò tra le righe, in fondo qui stiamo parlando di questa rivista quindi è naturale che si spezzino lance in suo favore.

In conclusione, quella che tu hai visto come maleducazione io ho vista come schiettezza e onestà, marchio di fabbrica di Iovine da anni. Quello che tu pretendi da un "direttore maturo" (anche se Il Fotografo non si è mai professata essere una delle più illuminate, ma solo una rivista diversa) ha una ragione solo se visto nell'ottica di non perdere un lettore. Mi piace Iovine proprio per questo, perchè se ne infischia di cosa pensa il lettore e dice le cose in faccia.

Mi viene in mente l'episodio, davvero ridicolo, di un lettore decennale che pretendeva la pubblicazione (di foto davvero discutibili peraltro) solo perchè pagava l'abbonamento. E' successo di recente tra l'altro, non più di sei mesi fa, non so se hai il numero dove è stata pubblicata quella manfrina che davvero mi ha fatto sorridere.

Segue...

Giancarlo Parisi ha detto...

Ad ogni modo credo che le posizioni si siano ampiamente chiarite. Ciò che rimane di questa bella discussione è l'assoluta libertà nella scelta di quale/i rivista/e comprare. Rimane anche la libertà di scrivere al direttore di una rivista per avanzare delle critiche personali.

Tutte queste libertà, tuttavia, non elidono un dato di fatto: la circostanza che esiste una fetta di lettori e riviste che pretendono/generano, in maniera più o meno consapevole, il vortice della tecnomania senza contenuto.

Come fa un lettore a crogiolarsi nei dati di scatto? non so risponderti meglio di come ho fatto fin'ora.

Antonio Caggese ha detto...

La libertà di discussione che abbiamo è la stessa che utilizziamo per sceglere la rivista da comprare. E comunque il "Il Fotografo" lo continuo a comprare... così come compro "Fotografare"... ed altre riviste da anni... anche se per "Fotografare" ho fatto una battaglia contro la rubrica sull'onomanzia tenuta dall'ex editore, ma per fortuna l'hanno eliminata!

Un saluto a te, alla simpatica Claudia e a tutti coloro che ci hanno letto con più o meno interesse! :-)

bye

Francesca ha detto...

Riprovo a incollare il primo commento, che manca... inoltre il "buco" tra il terzo e il quinto in realtà non è tale, perchè risale ad uno spezzettamento precedente di un commento che non era apparso... insomma, ho il sistema contro :D

(1)

Ci sono alcuni punti su cui vorrei esprimere il mio parere ad Antonio:

- dati exif: non m'interessano e condivido al 100% l'idiosincrasia di Sandro nei confronti degli stessi - puntigliosità "ortografica" compresa. Caso vuole che sia anch'io molto attenta alla proprietà di linguaggio e alla precisione di quello che si dice, se non per amor proprio almeno per rispetto all'oggetto delle proprie dissertazioni. Se si decide di indicare i dati exif perché si ritiene che siano fondamentali, il minimo che si possa fare è indicarli correttamente. Il modo in cui ci si propone nelle piccole cose dice di noi molto più di quanto lo facciano elementi in apparenza più eclatanti. Venendo alla sostanza dei dati, posto che chiunque si appresti a scattare con una reflex abbia fatto sua un minimo di teoria su tempi e diaframmi, il solo mezzo per migliorare la tecnica è la sperimentazione diretta. Non mi sognerei mai, nemmeno nel più sinistro degli incubi, di analizzare ed "interiorizzare" gli exif di un buon numero di foto pubblicate su svariate riviste (perdonami Antonio, ma come ci riesci? A me crescerebbero delle fastidiose muffe su tutto il corpo). Non ho mai letto i dati di scatto di fotografie altrui e faccio foto se non altro tecnicamente giuste, avendo passato a scattare meno tempo di quanto tu ne abbia probabilmente utilizzato solo per leggere gli exif degli altri.

Francesca ha detto...

(2)
- sono fotografa ma il feticismo del mezzo non mi appartiene affatto, e penso di poter parlare tranquillamente anche per molti altri. Questo non perchè io scatti con una compattina (l'unica che possiedo fu la prima macchina con cui mi cimentai per i primi due anni della mia esperienza fotografica ed ora mi viene l'orticaria ad utilizzarla anche solo per il ritardo di scatto, quindi l'uso della reflex è per me un punto di non ritorno), ma per il semplice motivo per cui non è l'attrezzo meccanico che si utilizza a "fare la foto". Esso non è che un registratore. La foto è fatta al 90% dall'idea, dalla progettualità, dalla persona che sta dietro alla macchina con tutto il suo bagaglio culturale: artistico, letterario, musicale e chi più ne ha più ne metta. La fotografia è un linguaggio e la macchina è lo strumento per codificare questo linguaggio. Certo, con una buona reflex e degli obiettivi professionali si fanno cose qualitativamente più raffinate, ma dipende molto da qual è lo scopo che ci si prefigge. A volte i megapixel sono una necessità, ma è qualcosa di decisamente secondario rispetto al contenuto della fotografia. Inoltre non leggo riviste specializzate (sempre per il già citato problema legato alle muffe) ad eccezione de "Il Fotografo" - di cui, lo confesso, non acquisto nemmeno ogni numero - proprio in virtù del taglio che si è scelto di darle. Un'ultima nota sul feticismo della macchina fotografica: sinceramente, nonostante la forma spiccatamente fallica del mezzo, io gli slanci orgasmici li ho per ben altro.

Francesca ha detto...

(3)
- cito testualmente: "lui (Sandro) non ha la spinta ad uscire con la reflex in mano per cercare di fare una foto simile a quella che ha ammirato poc'anzi". Perché mai come fotografo dovrei sentire la necessità di riprodurre un'immagine scattata da altri? Cosa me ne importa? Essa non parlerebbe di me, quindi che valore aggiunto darebbe al monte della produzione artistica generale? O, cosa assai più importante, che valore darebbe alla produzione personale? Nessuno. Si scattano già tante foto inutili, cerchiamo di risparmiarci almeno l'ovvio per antonomasia: l'imitazione. E' chiaro che l'emulazione di cui parli proviene dalla stessa matrice di considerazioni che riguardano gli aspetti tecnici di una foto, su cui mi sono già espressa.

- non è mio interesse approfondire il punto "cazziata a Ferraro", ma per amore di completezza (non sia mai che io sembri voler svicolare dall'unico motivo che ti ha spinto a scrivere alla rivista) lo sfiorerò: Sandro è una persona estremamente ironica e sa essere molto sarcastico. Io ho un senso dell'umorismo simile al suo, quindi mi ci sono semplicemente fatta una risata. Conoscendolo personalmente e avendo trascorso ogni giovedì pomeriggio per mesi partecipando attivamente alle sue lezioni di comunicazione visiva, posso assicurarti che a) ciò che ha scritto sulla rivista in quest'occasione è davvero una pioggia di freschi petali di rosa in confronto a quello che giustamente e a fin di bene dice agli studenti (cosa per la quale tra l'altro gli sono sempre stata grata) b) se credi l'abbia messa sul personale con Ferraro ti sbagli. E sulla maleducazione, credimi, sei fuori strada. Ti confesso che io stessa a volte mi chiedo dove trovi tanta pazienza. E' schietto e ha le idee chiare, ma è ben lontano dall'essere privo di filtri, cosa che sarebbe invece grave per i diversi ruoli che sceglie - e ripeto SCEGLIE - di ricoprire. Una persona che fa l'insegnante e che dirige un giornale sulla fotografia dev'essere tutt'altro che gratuitamente tranchant. Ho conosciuto poche persone così inclini all'ascolto disinteressato, credimi. Che proprio tu parli di barriere mentali in capo a Sandro mi sembra francamente grottesco e paradossale. E comunque dai… è vero che certe cose impressionano giusto la mamma e la fidanzata :)

Francesca ha detto...

(4)
- "Ritengo profondamente ingiusto essere costretto a studiare la vita e le fobie di Picasso per apprezzarne le sue opere, meglio il quadro dell’ultimo paesaggista di Piazza Navona." Profondamente ingiusto? E che c'entra la giustizia, scusa? Se una cosa t'interessa davvero dovrebbe venirti naturale voler approfondire. Scegliere deliberatamente di non conoscere il background di un artista significa privarsi della possibilità di godere di qualcosa di bello… o magari anche di brutto, ma se non altro con cognizione di causa. Merce rara di questi tempi, devo proprio dire. Per riprendere la metafora della cucina, sarebbe come mangiare le lasagne fredde e con le mani. Non lo dico per salire in cattedra, ma perché sono fermamente convinta che ci si perda davvero molto a barricarsi nel proprio mondo: oltre l'immaginabile.

Francesca

Giancarlo Parisi ha detto...

Ciao Francesca e benvenuta. Ci sono stati dei problemi di amministrazione, ma ora ho risolto tutto ed è tutto nel giusto ordine :-)

Due parole di replica a ciò che hai scritto. Riguardo il fetiscimo del mezzo mi trovi completamente daccordo, aggiungo solo una nota, per così dire, moderata. Penso che non ci sia nulla di male, ed in tal senso sono daccordo con Antonio, nell'avere un minimo di piacere nel mero uso del mezzo, quello che davvero conta (se si vuol andare oltre l'ovvio chiaramente) è che la pratica fotografica non si riduca a questo.

Ed è per questo motivo che condivido le scelte, talvolta drastiche, di Sandro per combattere questa conseguenza. Un NO totale ai dati di scatto perchè si vuol concentrare l'attenzione dell'utente (interessato) su altri aspetti, più importanti, della fotografia.

Ma c'è una cosa molto più importante che hai scritto, sintetizzando qualcosa che ho cercato di far trapelare dai mie interventi: il discorso sull'imitazione!
E' il nodo fondamentale della questione e attiene precipuamente alla posizione del lettore/fotoamatore. La gran parte delle persone che si avvicinano alla fotografia cerca di imitare altre immagini; più precisamente cerca di imitarne la tecnica, in modo da poter dire: "quella posso farla anche io!". Se questo tentativo non riesce si da sempre la colpa al mezzo e si cerca inutilmente di colmare la lacuna con un nuovo acquisto. Ed è su questo che fanno leva molte (non tutte) le riviste, consciamente o meno come ho detto.

Il Fotografo cerca di coltivare il lettore, educarlo alla visione di lavori nei quali, sia per se stessi che per come vengono presentati, la tecnica è solo marginale, rappresentando quell'azione automatica e istintiva descritta da Bresson.

Il fatto che, a volte, si pubblichi una recensione è incoerenza? Secondo me è solo un modo per ricordare che comunque un mezzo serve e anche per fornire una rubrica che a molti interessa e che comunque è importante nella misura in cui, al giorno d'oggi, è fondamentale tenersi aggiornati sulle nuove tecnologie. Chiaro che se si compra Il Fotografo solo per leggere le recensioni è meglio investire 4 euro altrove.

Antonio Caggese ha detto...

ARTE FRUIBILE: Francesca, non capisco cosa ci sia di sbagliato nel mio modo di pormi rispetto all’arte nel suo insieme. Nei vari generi artistici che seguo, mi piacciono le opere facilmente accessibili, ammetto di essere limitato. E mi piace talmente tanto godere si un’opera d’arte che quasi non mi interessa l’autore. Pensa che a me piace talmente tanto la musica da odiare gli artisti italiani, purtroppo il testo mi distrae inesorabilmente dalla performance musicale. Infatti ascolto moltissimi chitarristi rock che fanno quasi esclusivamente brani strumentali, e quando ogni tanto ci cantano sopra cerco di non tradurre il testo, non mi interessa. Mi piacciono i quadri comprensibili e le foto belle da subito, non voglio e non sono in grado di dover studiare qualcosa per comprenderle… è un mio modo di pensare e vivo felicissimo così. Nel poter accedere alle opere altrui senza bisogno di nessun indottrinamento lo vedo come un traguardo ed un bellissimo senso di libertà. E tutto questo è una mia scelta, ritengo che sia ingiusto “per me” dover studiare Picasso, mica per gli altri… se gli altri sono contenti di studiare per capire Dalì e De Chirico… li invidio per la loro felicità. E quando sospetto l’idolatria… sento puzza di bruciato, perché la mitizzazione offusca la capacità di giudizio, ecco perché di HCB ne ho piene le tasche.

Per finire, vorrei raccontarvi un’altra cosa. Recentemente ho scritto un corso breve di fotografia in tre lezioni, che sto testando su amici e colleghi prima di organizzare delle sessioni. Se veniste al mio corso, mi sentireste dire che buona parte della foto la fa il soggetto, la composizione, il progetto che c’è dietro, la situazione ed anche la fortuna, un bel po’ la fa l’obiettivo perché se si vuole ottenere un certo effetto ottico non ci sono santi, e in minima parte la fa il corpo macchina, a parte le volte che ti permette di scattare sotto la pioggia oppure nel deserto (per esempio). E nonostante sia un corso base prettamente tecnico, parlo degli aspetti tecnici solo come un mezzo per raggiungere lo scopo di catturare le nostre idee.
E non potete immaginare quante volte ho fatto desistere amici e colleghi da nuovi acquisti, semplicemente facendogli notare che quello che comprano se ne sta per la maggior parte del tempo chiusa nello zainetto nell’armadio di casa. Oppure quante volte NON ho fatto comprare delle reflex perché inutili in quella situazione. Vi potrei fare decine di esempi incredibili, ma andrei troppo lungo…
Bye :-)

Antonio Caggese ha detto...

i miei ultimi due commanti sono da leggere invertiti! :-)

Giancarlo Parisi ha detto...

Caro Antonio, come ho già detto ho capito perfettamente di che pasta sei fatto, quindi tutto quello che qui dico non è riferito a te. So che lo sai ma ci tengo a precisarlo anche per gli altri.

Ciò per cui si discute e per cui sto preparando un nuovo post, è lo stesso motivo per il quale molti tuoi amici erano pronti a fare acquisti inutili.

Antonio Caggese ha detto...

Ok Giancarlo, nessun dubbio! :-)

Mi permetto di ripubblicare la prima parte della mia ultima risposta, non so perchè ma è andata persa:
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A parte la inaspettata e piacevole densità di donne ospitate in questo forum, devo dire che mi sorprende sempre come possano essere fraintese le parole altrui, o meglio… di come sia difficile trasmetterne il senso non conoscendosi di persona. Per brevità provo a commentare le ultime ed interessanti considerazioni.

DATI DI SCATTO: se per dati di scatto intendiamo ISO, diaframma, tempo di posa e obiettivo utilizzato, io li ho sempre trovati utilissimi, soprattutto quando andavo a fotografare qualcosa di cui non avevo esperienza e non avevo tempo di sperimentare. Sapere quale obiettivo usano i fotografi esperti in certe situazioni mi fa capire verso quale vetro investire i miei pochi soldi, in questo caso di dati di scatto mi permettono anche di fare investimenti oculati, al contrario delle pulsioni consumistiche di cui vengono accusate le riviste.

ATTREZZATURA: mentre tu ti dichiari per nulla feticista rispetto all’attrezzatura fotografica, io ammetto di esserlo abbastanza, ma solo nei momenti che precedono e seguono l’acquisto. Io non ho molti soldi, quindi possiedo un corredo Nikon DX, quindi APS-C… ed essendo un paesaggista mi piacerebbe passare al formato full-frame, che mi permetterebbe di riacquistare l’angolo di campo che ho perso con il formato DX. E se immagino di mettere le mani su una Nikon D700 con relativo Nikkor 14-24 (in tutto circa € 4.000) beh… una certa emozione la provo! :-) Non dico che proverei un orgasmo, ma di sicuro sarei molto contento. E visto che dici di essere indifferente ad una emozione del genere, per capirmi… immagina di mettere le mani su un paio di scarpe che desideri da tempo… oppure (se sei indifferente alle scarpe) ad una qualsiasi cosa che desideri di acquistare da tempo. E se tutto ciò avviene nei giusti limiti senza indebitare se stessi e la propria famiglia… non ci vedo nulla di male.

IMITAZIONE: quando parlo di imitazione intendo dire che un qualsiasi neofita in una qualsiasi arte impara i rudimenti studiando ed imitando i professionisti del settore. Poi, ci mette del suo. Come farebbe un pianista a comporre un’opera originale senza aver studiato per anni Mozart e Chopin? Oppure Stephen King non ha mai letto un romanzo in vita sua? Anche il solo studiare un po’ ti influenza, e tutti hanno i propri idoli ad inizio carriera… poi c’è chi riesce ad essere più originale degli altri ed emerge e chi invece continua a fare cose già fatte. Non riesco ad immaginare un percorso diverso per un qualsiasi artista, quindi contesto assolutamente il tuo giudizio di inutilità nello studiare ed imitare (inizialmente) le opere altrui.

IOVINE: la tua frequentazione personale con Iovine forse ti preclude una valutazione oggettiva. Ripeto fino all’ennesima volta che normalmente lo stimo e compro regolarmente la sua rivista da anni, ma ritengo maleducato il modo in cui si rivolge a dei neofiti che non hanno subito nessun filtro prima di venire a contatto con lui. Tu come altri non lo ritenete maleducato? Ok, basta… va bene così. Ma mi diverto ad immaginare cosa diresti tu se fossi trattata così su una rivista a diffusione nazionale… su questo, permettimi di avere dei dubbi.

Francesca ha detto...

Sarò ancora più breve, spero... mi pare che qui si cambino un po' troppo le carte in tavola. Antonio, quello che hai detto nei commenti precedenti il mio non è ciò che affermi ora, in particolare su:

- attrezzatura: l'essere feticisti del mezzo e orgasmare per esso è ben diverso dal soddisfare un desiderio d'acquisto che si ha da tempo, cosa cui fai cenno solo ora e che posso tranquillamente condividere perchè ci siamo passati tutti.

- imitazione e studio sono due concetti molto diversi. Ne faccio addirittura un distinguo di paragrafi, che t'invito quindi a rileggere con più attenzione per non confondere cose che tengo ben distinte. Io ho studiato e continuo a farlo, ma non ho mai imitato o desiderato farlo. C'è chi lo fa, semplicemente non fa parte di me perchè lo trovo inutile e controproducente per la mia ricerca personale.

Due parole sul resto:

- la mia frequentazione di Iovine mi permette di pronunciarmi con una certa cognizione di causa sul suo modo di porsi e su un paio di altre caratteristiche che ho avuto modo di osservare. Se vogliamo parlare di oggettività di giudizio, le alternative sono due: o una persona non la si conosce affatto e quindi non si è influenzati dal rapporto personale (ma in tal caso il giudizio diventa un pregiudizio perchè non ha elementi su cui fondarsi), oppure la si conosce e nel tempo si capisce come sia, anche attraverso il modo in cui interagisce con noi. Avere giudizi (che brutta parola, poi) oggettivi sulle persone è per definizione impossibile e non mi sembra nemmeno così importante. Se vuoi ascoltarmi, ti dico qualcosa di lui per farti capire che sei prevenuto. Altrimenti pazienza...

- arte fruibile: onde evitare di fraintendere le intenzioni dell'artista, cerco almeno di conoscerle. Nulla vieta poi di interpretare l'opera a mio modo, ma se prescindessi completamente da un'analisi sincronica e diacronica della stessa, potrei correre il rischio di prendere anche delle gran cantonate. Venendo poi a un'espressione che hai usato, le "foto belle" non esistono. Esistono le foto che raccontano qualcosa o che non la raccontano, che creano un'empatia con lo spettatore oppure no, e così via. Ma non mi si parli di "bello" perchè è un concetto talmente gommoso che si adatta a tutto e a niente. La lingua italiana è fatta da molti aggettivi, che stanno lì per essere ogni tanto usati anche loro, poverini. E per le foto ce ne sono a iosa... Non rimaniamo sempre alla superficie delle cose, alla formula del "che bella foto" tanto usata per spompinarsi vicendevolmente... Ah chiedo scusa, "vicendevolmente" non è molto signorile :)

Saluti a tutti e buona settimana!

Antonio Caggese ha detto...

Se ci mettiamo a pontificare su ogni parola, non la finiamo più! :-)
Quando uso il termine “bella foto” non credo di commettere un crimine… pensa che io, proprio per uscire dal giro degli inevitabili complimenti che ricevevo e ricevo da amici e parenti, ho sempre sentito il bisogno di sottoporre le mia foto al giudizio di altri con il prerequisito indispensabile che fossero sconosciuti. Mi sembra strano parlare di spompinamenti con una gentile donzella, ma avevo bisogno di altro… e così ho visto spesso le mie foto ed i miei portfolio pubblicati sulle riviste del settore, ho vinto concorsi anche internazionali ed ho pure venduto una foto (via Flickr) per una copertina di un libro. Pensa che pochi mesi fa ho visto una mia foto selezionata tra le migliori di un concorso nazionale con stampa su un “bel” libro di qualità che ho ricevuto a casa, e nella giuria dei tre feroci selezionatori c’era anche Sandro Iovine… pensa quanto non posso avercela con la sua originale visione del mondo fotografico… lo ritengo semplicemente maleducato, a volte. Insomma, il mio ego di fotoamatore ha avuto di che soddisfarsi, e tutto questo per vantarmi e per sottolineare che comunque non ho mai dato molto peso ai complimenti di chi di fotografia non ha grande esperienza. Ma sono stato io a decidere di sottoporre le mie foto al giudizio degli altri, non ho mai espresso un giudizio su una foto di altri se non estorta quasi con la forza… insomma, non me ne vado in giro a commentare gratuitamente le foto degli altri, non mi sale il sangue alla testa nel vedere gli obbrobri degli altri… di non desiderato c’è già la SPAM che ci invade le caselle di posta. E non per criticare chi lo fa, semplicemente a me non piace farlo, quasi mi vergogno ad esprimere un giudizio negativo su una foto scattata da persone che conosco.

Leggendo le tue interessanti considerazioni, mi rendo conto che a me non piace affrontare la fotografia in questo modo, in maniera così filosofica e prolissa, con eterne disquisizioni su un singolo termine… semplicemente perché non ne sono in grado, i miei ragionamenti non arrivano ad una tale complessità, sicuramente per un mio limite nella visione della fotografia, che sicuramente è più terra-terra del tuo. Ecco perché, nonostante continui a comprarla, la rivista “Il Fotografo” mi appare come le tue intricate ragnatele di parole, ovvero un parlarsi addosso senza fine, che richiama alla mia memoria ore ed ore di sessioni di lettura di portfolio ai quali (l’unica volta che l’ho fatto) ho resistito 7 minuti prima di iniziare a ronfare. E guarda Francesca, non è una critica… chi intende vivere così la fotografia lo faccia, probabilmente lo fa infinte volte meglio di me, ma io c’ho provato… e non mi è piaciuto. Per me fotografia vuol dire parlare poco e scattare tanto (ma non a caso!), con le dovute critiche, ci mancherebbe, ma poi… mentre gli altri leggono il portfolio… io vado fuori a fotografare… ed a cercare di fare “belle” fotografie! :-)

bye

Giancarlo Parisi ha detto...

La cosa bella di questa discussione è che lo scambio è davvero tale. Come ho sempre sostenuto in vari canali, niente è obbligatorio né, tantomeno, vivere una passione in un certo modo piuttosto che in un altro.

Ciò che mi ha sempre fatto venire il sangue alla testa, per usare questa colorita espressione che pare vada per la maggiore ultimamente :-), non è un certo modo di vivere la fotografia, quanto piuttosto il fatto che chi la vive in quel modo pretenda che sia il modo giusto o, più esattamente, assuma atteggiamenti miranti a screditare l'operato di chi dedica tempo ad uno studio dell'immagine.

E ho piacere di aver conosciuto Antonio perchè non fa nulla di tutto questo. Proprio di recente sono avvenute situazioni spiacevoli sul forum di cui sono moderatore (www.fotocluboltre.org) a causa di un inetto che non solo si barricava nella sua ristrettissima visione (il che sarebbe appunto lecito), ma punzecchiava il sottoscritto con l'aria di chi vuole prenderti in giro. Chiaramente è stato bannato, ma è per capire cos'è che mi da tanto fastidio.

Qui abbiamo un civile scambio di vedute che è prezioso proprio in quanto tale.

Grazie a tutti.

Gualtiero 'BigG' Tronconi ha detto...

@ Antonio Caggese
Caro Antonio, e cari tutti, scusate se intervengo in questa discussione con un po' di ritardo rispetto al suo inizio e al suo sviluppo ma non posso esimermi dallo spendere due parole su alcune tue affermazioni:
- "sentire oggi i dischi di Hendrix mi suscitano una grande tenerezza… belli, per carità, ma tecnicamente bambineschi (mio figlio suona meglio di lui), imperfetti e (quello che mi da più fastidio) registrati male"
Per prima cosa, in quanto critico musicale, esperto di chitarre, musicista e talent scout, mi sento in obbligo di chiederti una registrazione di tuo figlio visto che, a quello che dici, suona meglio di Hendrix non voglio perdere l'occasione di metterlo sotto contratto e campare per il resto della mia vita con i frutti del suo enorme talento.
Tendo a farti notare che Hendrix non è stato un innovatore del suo tempo, è un innovatore ancora oggi, il fatto che chitarristi all'avanguardia come Satriani, Vai, Gilbert, Van Halen, Johnson, Bonamassa e via dicendo (la lista potrebbe comprendere tutta la lista dei chitarristi al mondo) lo citino come la più grande fonte di ispirazione e lo tributino interpretando le sue canzoni ancora oggi mi sembra abbastanza sintomatico.
Ma senza tirare in mezzo altri musicisti, se tu avessi l'accortezza di ascoltare davvero, non di sentire, ma di ascoltare album come Electric Ladyland capiresti che ciò che è stato inciso lì è qualcosa di eneguagliabile e non perché Hendrix sia ormai morto e sepolto ma per evidenti ragioni musicali e tecniche, oggettive ragioni.
Non voglio qua dilungarmi sulle capacita produttive di Hendrix e su quanto i "trucchi" da lui inventati siano tutt'ora utilizzati negli studi più moderni ma, credimi, è proprio così.
Ora, per tornare alla questione principale della strumentazione, sia essa citaristica o fotografica, tendo a farti notare che certamente gli innovatori tendono a osservare cosa la tecnologia può mettere a disposizione del loro talento, sempre Hendrix è stato il primo ad utilizzare i mitici amplificatori Marshall perché più potenti e con una saturazione migliore, ma qualsiasi strumento, per quanto evoluto se non viene guidato da talento, ispirazione e cultura non può che produrre mediocri melodie/scatti.

Cordiali saluti

Gualtiero

Antonio Caggese ha detto...

Ero molto indeciso se rispondere alle tue argomentazioni, in fondo siamo su un forum di fotografia, ma lo faccio a patto che Giancarlo si senta autorizzato a cancellare il mio post se lo ritiene off-topic.

Innanzitutto sgombriamo ogni dubbio: io ero e sono un chitarrista elettrico, e se anni fa ero riuscito a fare qualcosa di discreto, oggi che ne ho 46 faccio solo delle strimpellate estemporanee soprattutto con l’acustica. Inoltre anche in questo caso si parla anche di gusti, e sappiamo bene che nessun artista di nessun genere deve piacere per forza. Dico questo perché (probabilmente per un mio limite) non amo i chitarristi degli anni 60 ivi compreso Hendrix. Nonostante abbia comprato tutti i suoi dischi (pochi, purtroppo) e non abbia problemi a riconoscerlo come un genio a cui si sono più o meno dichiaratamente ispirati tutti i più grandi chitarristi degli anni a venire, allo stesso modo ammetto che non lo sento spesso… insomma, non mi fa impazzire. Comunque, nessuna paura, rimango un suo estimatore! :-)

A tal punto che l’anno scorso ho raccolto varie cover di “Little Wing” con sommo piacere dei miei amici appassionati di musica, che hanno maggiormente apprezzato le splendide versioni di Monte Montgomery, Steve Lukather con i Los Lobotomys e quella di Steve Ray Vaughan.

Invece, ascolto quotidianamente i miei preferiti che, tra gli altri, sono: Steve Vai, Joe Satriani, Van Halen, Vinnie Moore, Steve Stevens… anche se (quando erano in grazia) mi sono piaciuti Stephen Ross, Blues Saraceno, Yngwie Malmsteen e Ace Frehley, il suo ultimo “Anomaly” l’ho virtualmente consumato.

Puoi capire quindi che, siccome le incisioni degli anni 60 hanno una qualità abbastanza scadente rispetto a quelle più recenti, alle mie orecchie (anche in questo caso per un mio limite) non risultano molto gradite.

Inoltre (e sono gusti personali) mi piacciono di più i virtuosismi, sempre però se accompagnati da una più che buona capacità compositiva, altrimenti il migliore di tutti sarebbe Michel Angelo Batio! :-)

Da questo deriva l’aggettivo “bambineschi” riferito ai dischi di Hendrix, semplicemente perché Hendrix adottava una tecnica che confrontata con quella di oggi fa sorridere, ed ecco perché ho affermato che mio figlio suona meglio di lui… dopo due anni di lezioni ha acquisito una tecnica molto più avanzata rispetto a quella del grande Jimi, senza per questo dare troppo peso alla tecnica. Su YouTube ci sono valanghe di ragazzini che suonano meglio di Steve Vai, ma nessuno è in grado di comporre al suo livello, quindi va da se che la tecnica è una minima parte dell’espressione artistica.

Ecco spiegata la mia frase, e cioè perché i dischi di Hendrix sono belli, tecnicamente bambineschi, imperfetti (chi non lo è) e, a causa di una mia idiosincrasia per la scarsa qualità delle vecchie incisioni, non piacevoli da ascoltare.

Credo quindi che in realtà siamo perfettamente d’accordo su tutto: Hendrix è un grande, moltissimi lo hanno visto e lo vedono come una fonte d’ispirazione, le tecniche che si usano oggi all’epoca non erano nemmeno conosciute, le incisioni di allora hanno una qualità inferiore a quelle di oggi, nella musica (come nella fotografia) la tecnica e la strumentazione sono solo una delle componenti per creare delle opere d’arte ragguardevoli.

Però, imitando il discutibile stile di Sandro Iovine quando parla a degli sconosciuti, per affermare il tutto hai sentito il bisogno di essere sarcastico prendendo in giro un mio stretto familiare, e questo (sinceramente) non me lo spiego…

Bye :-)

Gualtiero 'BigG' Tronconi ha detto...

Caro Antonio,
posto questo e poi credo che si possa ritenere chiusa la questione, posso solo dirti un paio di cose:
1 - non copio certo lo stile di Sandro Iovine, non ne sarei in grado e ne ho uno mio maturato in anni di duro lavoro.
2 - Sarcastico... Certo!!! Offensivo nei confronti di tuo figlio... No di certo, nei tuoi tanto meno, ho solo espresso le mie perplessità riguardo una tua affermazione quanto meno opinabile sulla capacita di tuo figlio di suonare meglio di Hendrix che onestamente, se riportata in qualsiasi forum, convegno o incontro tra chitarristi, musicisti, musicofili e chiunque abbia due orecchie farebbe quantomeno sorridere essenza mettere in dubbio le sicure capacità di tuo figlio, sia ben chiaro. Quello che sarebbe da capire è se il numero di note emesse in un minuto siano il metodo giusto per valutare la qualità, così come se il suono cristallino di un CD su un impianto di ultima generazione sia meglio di un vinile che fruscia su un giradischi…
Non so dare una risposta a quest'ultima domanda, la cerco ma non so darla, certamente so che il talento, il genio e l'originalità non sono quantificabili e/o misurabili, so che chitarristi molto talentuosi, così come fotografi, hanno stravolto il modo di suonare e intendere la musica con un singolo riff che io, te, tuo figlio e chiunque prenda in mano una chitarra potremo ripetere all'infinito senza riuscire a renderlo altrettanto bene e comunque senza saperne creare un altro altrettanto perfetto.
Comunque sono d'accordo con te almeno su una cosa, non è questo il luogo in cui parlare di musica e non voglio abusare dell'ospitalità che ci viene offerta, quindi ti saluti e saluto gli altri aderenti a questa discussione sperando di non avervi tediato troppo.

Gualtiero

Antonio Caggese ha detto...

Non credo che dire “non voglio perdere l'occasione di metterlo sotto contratto e campare per il resto della mia vita con i frutti del suo enorme talento” sia equivalente ad esprimere le proprie perplessità. Io frequento i forum fin da quando mi collegavo ad McLink con l’accoppiatore acustico a 300 baud, sono venuto a contatto con migliaia di sconosciuti con molti dei quali ho dissentito in maniera a volte sanguigna, ma la cosa più volgare ed offensiva che ho detto loro per esprimere le mie perplessità è stata “non sono d’accordo”. Con chi conosco oppure con chi mi attacca gratuitamente mi comporto in modo diverso, ma di certo non posso imporre la mia netiquette a nessuno.

Riguardo la mia affermazione, era proprio quella che era: mio figlio è in grado di suonare con una tecnica che Jimi Hendrix se la sognava, non mi pare che si sia nulla di scandalistico in questa affermazione, basta farsi un giro su YouTube. E visto che andiamo su YouTube, prova a vedere/ascoltare il brano “Tender Surrender” di Steve Vai e poi dimmi se Jimi Hendrix sarebbe stato in grado si suonarlo. Impossibile. E siccome ci sono un sacco di quattordicenni che tecnicamente suonano anche meglio di Steve Vai, la mia affermazioni sulle qualità tecniche di mio figlio (che non raggiunge quei livelli) non può che essere vera… sempre se parliamo solo di tecnica, ovvio… un’altra “Little Wing” non l’ho ancora sentita.

A tal proposito, ti racconto un aneddoto che (almeno per me) è sempre sembrato simpatico: più di dieci anni fa ero “andato in fissa” proprio con “Little Wing”, alla fine credo che tutti i chitarristi elettrici abbiano provato a suonarla. Della mia passione per questa pietra miliare ho già parlato, ma c’è anche da dire che nell’originale di Jimi la chitarra suonava in tutta la sua semplicità, come una qualsiasi Stratocaster collegata ad un amplificatore senza troppi effetti. Sound che non ho avuto problemi a riprodurre: avevo anche io una Stratocaster e un bell’amplificatore Laney che (sebbene non valvolare) con l’impostazione “Clean” produceva un suono molto simile a quello di Hendrix… un pizzico di riverbero ed il gioco era fatto... l’attrezzatura conta, eccome! :-)

Erano mesi che suonavo “Little Wing”, ormai la prima metà la facevo abbastanza fedele all’originale anche perché (tecnicamente) non è un brano difficile, anzi. E quindi quel tardo pomeriggio feci quello che tutti i chitarristi che studiano un brano farebbero: CD di Hendrix nel radiolone, io seduto affianco con la Stratocaster imbracciata e l’intavolatura davanti (non so leggere il pentagramma)… un po’ ascoltavo la vera “Little Wing” per apprendere ulteriori sfumature, un po’ suonavo io cercando di essere più fedele possibile all’originale… ed a volte ci suonavo sopra.

Ad un certo punto mi concentrai su un passaggio in particolare che ascoltai ripetutamente da CD e, mentre lo stavo ascoltando per l’ennesima volta, dalla cucina sento mia moglie urlare: “Antonio, posa ‘sta cavolo di chitarra e vieni a cena!”.

Corsi subito ad abbracciarla commosso, la mia gratitudine verso di lei ebbe un picco forse mai eguagliato: anche se per un attimo, aveva scambiato Jimi Hendrix… per me! :-)

Insomma, se un chitarrista scalcinato come me veniva scambiato per Jimi… vuol dire che la tecnica usata dal grande Hendrix non era ineguagliabile, anzi… era ed è alla portata di qualsiasi chitarrista si impegni abbastanza sul serio… come mio figlio, appunto.

Infine, non capisco come sia possibile, ma anche in questo caso mi viene chiesto se “il numero di note emesse in un minuto siano il metodo giusto per valutare la qualità” anche se io non ho mai affermato il contrario. Ho anzi scritto che “la tecnica è una minima parte dell’espressione artistica”, quindi è evidente che il destinatario della suddetta domanda non posso essere io! :-)

Bye

Giancarlo Parisi ha detto...

Mi sono divertito e arricchito a leggere i vostri interventi ragazzi. Sicuramente non sono totalmente in tema, ma aiutano a comprendere alcune cose.

Ciò che rimane è, come è stato più volte detto, che la tecnica è solo uno degli elementi che fanno di un'opera qualcosa di iconografico.
Anche eguagliando la tecnica non è possibile eguagliare l'aura di un'opera come Little Wing o come una delle tante immagini di Parigi Scattate da Atget.
L'aura di un'opera è data da una serie di ingredienti difficili da indentificare e alcuni irreperibili. Per questo l'imitazione è ontologicamente fallace.

francesco peluso ha detto...

Caro Antonio penso modestamente che tutto questo interessante discorso (senza ironia) si basi su di un malinteso, spesso ricorrente in questi ambiti.

Il fatto che personalizziamo la Fotografia, la signora Fotografia come disse quel tale che voleva parlare con la signora Rinascente per ottenere uno sconto.
Come tutti ben sappiamo la signora Fotografia non esiste.
Esistono una, dieci, mille fotografie.
Esiste quella paesaggistica, la macro, i ritratti, il fotogiornalismo, la fotografia astratta, quella concettuale...
E' come se volessimo parlare del Libro o del Quadro dimenticandoci dei generi letterali e degli stili.
E per ogni genere di fotografia alcuni elementi diventono importanti.

E concordo assolutamente con te che per alcuni generi tecnica e hardware facciano la differenza.
Ma non in tutti.

Esiste anche una fotografia dove il contenuto è più importante del contenitore (e delle sue regole).
Dove i dati di scatto (veramente e non per spocchia) non servono !

E per fortuna esistono anche riviste a cui non interessano e che con coraggio cercano anche strade alternative.

E guarda che non dico che questa sia la Fotografia, è solo una delle tante facce delle fotografia.

Tutte per me rispettibilissime.

PS
Non so se hai mai visto dal vivo la famosa Danza di Matisse. E' un quadro molto grande che visto da vicino sembra davvero fatto da un "bambino".
Ma man mano che ti allontani acquista sempre maggiore forza finchè giunto ad una giusta distanza inispiegabilmente ti scoppia dentro.

Ogni riferimento a Jimi Hendrix e alla sua tecnica è voluto ed intenzionale!

Ciao Antonio e buona serata
francesco

Antonio Caggese ha detto...

Ciao Francesco, hai sicuramente aggiunto un’utile considerazione che mi trova praticamente d’accordo su tutto.

Che ci siano generi fotografici in cui l’attrezzatura conta tantissimo, non c’è dubbio: andare a caccia fotografica nel Serengeti con una reflex entry level dotata dello zoomettino di plastica del kit ti precluderebbe qualsiasi fotografia decente. Non solo perché fotografare un leone all’alba con un diaframma 5,6 è difficile, e non solo perché per certe foto serve il 600 mm che non esiste in versione economica, ma anche perché la terra e la sabbia da quelle parti sono come il borotalco, e un’attrezzatura non tropicalizzata avrebbe vita difficile. Ho letto cronache di viaggio di fotografi che hanno visto progressivamente morire i loro corpi macchina nonostante fossero professionali, sicuramente perché le condizioni erano particolarmente estreme.

Invece, per un certo tipo di fotografia, va bene anche una Lomo! :-) In questo caso i dati di scatto non li conosce nemmeno chi ha scattato la foto…

Non conosco il quadro di Matisse da te citato, ma in questo caso permettimi di esporre il mio punto di vista.

Normalmente, in tutte le forme d’arte che mi attirano, io cerco di salvaguardare un aspetto che per me è importantissimo: la libertà di giudizio. Che abbiamo tutti, per carità, ma che può essere pesantemente influenzata da altri fattori che nulla hanno a che vedere con l’opera d’arte che ci accingiamo a giudicare.

Per fare un esempio, pensiamo di essere di fronte alla Gioconda di Da Vinci, ad una foto di Henri Cartier Bresson, alla statua della Pietà di Michelangelo, al film “2001: Odissea nello spazio” di Kubrik oppure a “Little Wing” di Jimi Hendrix. Bene… quanti di noi sarebbero veramente liberi di giudicare l’opera che hanno di fronte senza subire anni di pregiudizi e di sacrosante critiche positive? Secondo me ben pochi, anzi… più si conoscono i retroscena di quell’opera e del suo autore e più si è condizionati nel giudizio. Per me la Gioconda è una quadretto anonimo: piccolo, semisbiadito e poco interessante, ma potrei affermare che è brutta? Dopo tutte le storie sul suo sorriso enigmatico e sui duemila significati che avrebbe? E soprattutto, sapendo che l’autore è Leonardo Da Vinci? La vedo difficile, il lavaggio del cervello che ho subito negli anni mi fa provare un senso di vergogna solo nel pensarla, una cosa del genere… e allora, se invece fosse veramente brutta? :-)

Nel mio piccolo, la sicurezza di non essere condizionato rappresenta una vera e propria fobia, che rimane mia e che non pretendo di imporre a nessuno… però è per questo che volutamente non vorrei sapere nulla di un’opera e del suo autore, non vorrei sapere cosa dicono i testi in inglese delle canzoni, non vorrei sapere che Little Wing è di Hendrix e nemmeno che una foto è di HCB. Però è difficile, lo so… e quindi sono un po’ prevenuto verso le opere troppo famose di autori troppo famosi. Intendiamoci, mi piacciono lo stesso… ma non vedo di buon occhio la loro mitizzazione. Pensa che quando compro un nuovo disco di Steve Vai sono quasi contento di apprezzarne solo meno della metà dei brani, perché vuol dire che non ne subisco il fascino incondizionato.
Quindi, alla fine temo i prodotti di massa… se Steve Vai vendesse come Lady Gaga… forse smetterei di comprare i suoi dischi… e non dico che sia un comportamento maturo.

Per tornare a Matisse, ti faccio una domanda senza nessun intento provocatorio, anche perché me la faccio da solo ogni volta che mi trovo in condizioni simili: la descrizione delle emozioni che quell’opera ti provoca è assolutamente spontanea? Oppure deriva da descrizioni similari e imitazioni inconsce che avevi già ascoltato mentre ti veniva descritta l’opera e la vita di Matisse?

Bye :-)

francesco peluso ha detto...

copio;
"Per tornare a Matisse, ti faccio una domanda senza nessun intento provocatorio, anche perché me la faccio da solo ogni volta che mi trovo in condizioni simili: la descrizione delle emozioni che quell’opera ti provoca è assolutamente spontanea? Oppure deriva da descrizioni similari e imitazioni inconsce che avevi già ascoltato mentre ti veniva descritta l’opera e la vita di Matisse?"

mi pongo anch'io spesso questa domanda e cerco di darmi una risposta.
A volte è facile a volte meno.
I condizionamenti sono tanti e la pressione forte.

Basta pensare in che modo ridicolo ci fa vestire le cicliche fluttuazioni della moda !

Il problema è che noi, volenti o dolenti, siamo espressione di ciò con cui ci siamo "nutriti" durante il nostro percorso di vita.
Non possiamo farne a meno ne in modo cosciente ne in modo incosciente.
A supporto di tale considerazione un articolo (agghiacciante) che ho letto tempo fa.
Sembra che una persona non vedente dalla nascita non riesca a formulare nella sua mente un'immagine.
Vuoto assoluto.
E questo credo sarebbe anche la nostra visione di fronte ad un'opera senza una capacità di lettura, di criticità.
Senza quel bagaglio culturale (in senso più ampio possibile e non soltanto scolastico) costruito durante il nostro percorso di crescita.

E costruito anche, per forza di cosa, dalle parole, dai giudizi, dalle considerazioni di altri.
Sono d'accordo con te che poi ognuno deve filtrare tale informazioni, senza paura questo si di essere fuori dal coro,
Anzi, per fortuna che ci sono voci dissonanti !!!

Ma porsi "nudo" davanti ad un'opera di qualsiasi genere non è possibile.

ps caro Antonio penso che la delusione di molti circa la Gioconda sia dovuto anche al tipo di presentazione, la visione di un dipinto dimensionalmente piccolo da lontano e sotto strati di vetro blindato non è il massimo!
E questo ci porterebbe ad un'altra discussione, peraltro affrontata anche sull'ultimo numero di "Il Fotografo" e sul relativo blog Fotografia Parliamone, che poi è stato il tramite per cui ho conosciuto Imago Veritas.

Quella del differente impatto sull'osservatore di una stessa immagine fruita in formati (fisici e mediali) differenti.
Ma andremmo super off-topic !!!!

Ciao, un saluto a tutti e complimenti per l'interessante discussione.

Giancarlo Parisi ha detto...

Salve ragazzi, torno dopo qualche giorno di assenza leggo altri due interessanti interventi. Intanto ringrazio Francesco per la partecipazione che non fa che arricchire questo spazio.

In secondo luogo mi rivolgo ad Antonio. Comprendo la tua fobia, ma credo che tu abbia scelto un modo errato di combatterla. I pregiudizi secolari di fronte a opere come la Gioconda sono tali solo perchè lo vogliamo noi. Mi spiego meglio. Della gioconda si è detto di tutto, scritti libri e fatti film da 500 anni. Indubbiamente ciò che rimane di queste elucubrazioni è un giudizio globalmente positivo dell'opera, che solo i più beceri sintetizzano con "BELLA". Ciò che voglio dire è che La Gioconda è un'icona per mille motivi, 999 dei quali vanno al di là del mero dato estetico! Indi io posso benissimo affermare che è esteticamente brutto in base alle mie valutazioni personali, e ciononostante apprezzarne grandemente la tecnica, il sorriso, la grandezza dell'autore (che non era solo un pittore).
L'importante è, e si torna sempre al punto di partenza che ho più volte cercato di portare avanti, non solo qui, farsi delle domande e andare oltre il superficiale.

Chiunque potrebbe dire che la Gioconda è bella, sicuro di non venire contraddetto da nessuno. Ma cos'avrebbe fatto se non sintetizzare (in maniera becera perchè inconcludente) fiumi di considerazioni di 5 secoli?
Troverei più stimolante confrontarmi con chi portasse avanti qualcosa di nuovo, ancorché diverso e diametralmente opposto a tutto questo.

Antonio Caggese ha detto...

Leggo anche io con qualche giorno di ritardo… intendiamoci, le ultime considerazioni sono validissime e molto interessanti e però, sebbene condivisibili per la maggior parte, mi spingono ad una maggiore precisione nella descrizione della mia fobia, premettendo fin da subito che è una mia personalissima visione di alcuni aspetti e che nulla debba essere inteso come disprezzo delle posizioni altrui… figuriamoci se può darmi fastidio se a molti piacciono opere universalmente acclamate come capolavori! :-)

Per spiegarmi meglio faccio un esempio: nella bozza di corso di fotografia che ho preparato, parlo appunto della “bellezza” oggettiva delle foto in quanto tali e di quello che c’è intorno.

In particolare, cito e mostro una delle più famose opere di Robert Capa:
http://www.magnumphotos.com/Archive/C.aspx?VP3=ViewBox_VPage&VBID=2K1HZSP5IP71&IT=ZoomImage01_VForm&IID=2S5RYDDCAI4&ALID=2TYRYDYQ7NF9&PN=664&CT=Search

Diciamo la verità: la foto non è un granché… sfocata, mossa, quasi a fatica si comprende cosa vi è ritratto e la situazione in cui è stata scattata. Credo che una foto del genere scattata oggi da un anonimo venga irrimediabilmente cestinata in un nanosecondo, eppure… è una foto celeberrima!
Non solo perché è stata scattata durante lo sbarco alleato in Normandia, ma anche perché il suo autore è Robert Capa e (soprattutto) perché è una delle pochissime fotografie scampate ad un errore del laboratorio che (leggenda vuole) danneggiò irreparabilmente gli altri rullini. La foto in questione è stata quindi scattata in una situazione di estremo pericolo, da un grande fotografo ed ha assunto (suo malgrado) la caratteristica di rarità. Tutte condizioni che hanno fatto diventare questa foto il simbolo di Robert Capa e che, insieme ad altre sue poche celeberrime foto, ne hanno decretato una ricchezza economica che perdura e continua dopo la sua morte. Che questa foto sia diventata il simbolo stesso di Robert Capa è facilmente visibile sul sito di Magnum Photos, è quella che apre la sezione dedicata a Capa ed è la copertina di alcuni dei suoi libri.

Ecco, a me questo aspetto non piace, non mi va di unirmi al coro di quelli che la considerano un capolavoro, perché oggettivamente non lo è… e, per un mio limite, non riesco a riconoscerle un valore maggiore considerando tutto il resto che la contorna… allo stesso tempo, non penso nemmeno lontanamente che chi la osanna sia incompetente.

Insomma, si può vivere lo stesso tutti insieme appassionatamente! :-)
Bye

Giancarlo Parisi ha detto...

Antonio, avevo capito perfettamente anche prima del tuo esempio :-)

Però vedi, la foto dello sbarco a Omaha Beach è una foto molto particolare per i motivi che hai detto, cioè perchè è una delle pochissime fotografie di un evento storico importantissimo.

Nella sfortuna Capa ha avuto un'enorme botta di c...o ad essere forse l'unico ad aver fotografato quell'evento, ed ecco spiegato il valore (iniziale) della foto.

Dico iniziale perchè tutto quello che c'è stato dopo e perdura tutt'ora è in gran parte frutto di sfruttamento economico di un qualcosa (la foto) che smuove molto interesse e denaro.

Insomma, vale quanto detto per la Gioconda: si può dire che questa foto è "BELLISSIMA" sicuri di non essere contraddetti, ma cosa avremmo detto di interessante e di nostro?

Antonio Caggese ha detto...

Mah… a me sembra che di mio abbia detto fin troppo, anche se non posso giudicare se sia interessante.
Piuttosto, hai letto il nuovo numero de “Il Fotografo”? Durante la lettura delle prime pagine mi sono imbattuto in una serie di foto per le quali (giuro) mi sono messo a ridere di cuore! :-)
Il motivo di tanta ilarità è duplice: non solo (come spesso accade) sono foto che non avrei mai pubblicato, ma sono tutte corredate dei dati EXIF… dei quali la maggior parte vuoti! E proprio quella viene considerata la caratteristica originale di quel portfolio…
Insomma, la negazione di quello che Iovine ed alcuni degli ospiti di questo blog hanno affermato finora… non voglio ergermi a giudice di scelte editoriali che non sono in grado di comprendere, ma confesso serenamente che mi sono proprio divertito! :-)
Ciao e grazie per la piacevole ospitalità.
Bye
PS: che ne dici, segnaliamo questo thread a Iovine? :-)

Giancarlo Parisi ha detto...

Quello che voglio dire Antonio è che il fatto di avere di fronte un'opera ultra celebrata non ci impedisce di formulare dei giudizi nostri in merito, e di difenderli anche se dovessere essere in controdendenza rispetto alle celebrazioni.

Ti segnalo questo 3d dove si è parlato proprio di questo (anche se poi il dialogo è trasceso). Per vedere le immagini devi essere registrato e loggato.

Per quanto riguarda il n. 224 Antonio, si l'ho letto, e da quello che dici mi pare proprio che tu abbia completamente ignorato il significato di quel portfolio, e me ne stupisco. Non si tratta di difendere tutto a tutti i costi, ma davvero non riesco a capire come fai ad affermare che quella pubblicazione è incoerente, e estremamente coerente invece.

In ogni caso questa discussione è O.T. in questo post (peraltro già a conoscenza di Iovine), ne possiamo parlare nel mio ultimo post, nato proprio da quella pubblicazione.

Antonio Caggese ha detto...

Io ho letto molto bene la presentazione di Iovine che accompagnava il lavoro di Lucchini, e questa è conclusione: “Il risultato è quindi una nuova immagine generata da dati tecnici predeterminati, ma allo stesso tempo composta dai dati stessi. L’origine dell’immagine si fonde quindi con i suoi dati costitutivi per divenire una nuova immagine che svela la sua natura più intima, ma allo stesso tempo dichiara la volontà di rompere il limite autoimposto della tecnica come unico valore e parametro interpretativo dell’immagine, per restituire alla progettualità a alla comunicazione il ruolo principale che loro competerebbe”.

La cosa che mi ha fatto sorridere è che questo giudizio (che per un mio limite mi sembra oscillare tra il banale e l’incomprensibile) accompagna delle foto che sono in parte dozzinali, ed in parte sconcertanti… di foto come quella a pagina 12 ne ho scattate tante, tipicamente quando, uscendo da una chiesa all’interno della quale ho impostato la sensibilità a ISO 1600, scattavo in pieno giorno non accorgendomi che stavo bruciando il fotogramma… con la differenza che io quelle fotografie partorite da un evidente errore le cancello sul posto, perché farle varcare la porta di casa mia sarebbe un’offesa alla memoria di Daguerre.

Insomma, la mia evidente incapacità di comprensione mi fa apparire tutto questo come un paradosso: cosa mi aspetto di trovare su una rivista come “Il Fotografo” che ospita opere di rilievo e conduce da sempre una crociata contro i dati di scatto? Appunto, delle foto con un minimo sindacale di qualità e (vade retro!) senza nessun cenno ai dati di scatto… anche perché, a quanto pare, sono l’unico che in alcuni casi ne riconosca l’utilità.

Invece… basta prendere delle foto oggettivamente brutte, corredarle dei dati exif e… diventano un capolavoro degno della copertina e di svariate pagine della rivista! :-)

Cioè… se i dati di scatto li mette un lettore a corredo di una foto discreta viene messo alla gogna, se invece un fotografo di professione (credo) li ostenta in abbinamento a foto orribili… guadagna la copertina!

Se non è un controsenso questo…

Mah… sono sempre consapevole che tutto ciò accada per un mio limite… eppure mi impegno, compro comunque “Il Fotografo”, lo leggo da cima a fondo, a volte approfondisco… ma non riesco a capire… e mi rendo conto che la mia mente primordiale si ferma alle foto attraenti di per sé… purtroppo non ce la faccio ad andare oltre, se una foto ha bisogno di così tante spiegazioni ha fallito il suo scopo… è proprio questa la fotografia che si parla addosso, per me.

Bye :-)

Giancarlo Parisi ha detto...

Mi sono permesso di inserire il tuo ultimo commento nel post che ti avevo segnalato, in modo che l'eventuale discussione che potrebbe nascerne si svolga in quella più appropriata sede. Lascio comunque il tuo commento anche qui per evitare confusione nei lettori.